Westerbork

Il campo di transito di Westerbork (in olandese Kamp Westerbork, in tedesco Durchgangslager Westerbork) era un campo nazista di transito per rifugiati e detenuti della Seconda Guerra Mondiale, situato a Hooghale, dieci chilometri a nord di Westerbork, nel nord-est dei Paesi Bassi.
Assieme al Campo di concentramento di Herzogenbusch (Kamp Vught) e al campo di concentramento di Amersfoort è stato uno dei tre campi usati per raggruppare ebrei e zingari olandesi per poi deportarli nei campi di sterminio e nei campi di concentramento nazisti.
Il campo Westerbork fu attivo principalmente nel periodo fra il 1942 e il 1945, esso venne costruito nel 1939 e continuò ad essere utilizzato fino al 1971. Nel 1933 Adolf Hitler salì al potere in Germania e nel 1935 incominciarono le persecuzioni in seguito alla pubblicazione delle leggi di Norimberga. La vita divenne sempre più difficile per coloro che non erano considerati “ariani” e in particolare per gli ebrei, che furono gradualmente emarginati dalla società. Alcuni di loro rimasero in Germania speranzosi nella fine delle persecuzioni, altri invece scapparono. La data ufficiale della prima persecuzione è il 9 novembre 1938, meglio conosciuta come “Notte dei cristalli”(in tedesco Kristallnacht), durante la quale le sinagoghe vennero incendiate e le vetrine dei negozi ebrei vennero distrutte. Da questo momento in poi centinaia di ebrei cercarono disperatamente di lasciare la Germania. Coloro che riuscirono ad abbandonare lo stato migrarono all’estero e una buona parte di essi scappò nei Paesi Bassi. Il flusso migratorio stava diventando troppo intenso e nel tentativo di limitarlo il governo olandese incominciò a proteggere i confini inviando dei militari.
Prima dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale (1939) circa 10.000 rifugiati ebrei varcarono liberamente il confine olandese e successivamente incominciarono a entrare nel paese illegalmente. Per il governo la situazione stava diventando insostenibile e vi era la necessità di costruire un unico campo per i rifugiati. Il problema consisteva nell’individuare una locazione adeguata area, che fosse sufficientemente distante dalle zone abitate in modo tale da non disturbare la popolazione locale.
Una regione chiamata Veluwe, che era tranquilla e spaziosa, sarebbe potuta essere la perfetta candidata, in quanto per la maggior parte della sua estensione era ricoperta di boschi che potevano essere sfruttati per evitare l’integrazione dei rifugiati nella società olandese. L’opzione della scelta di questa zona non passò inosservata all’attenzione degli abitanti che erano piuttosto dubbiosi e in disaccordo: era caratterizzata da un paesaggio di notevole bellezza e inoltre era una famosa attrazione turistica: così i cittadini inviarono una lettera di protesta al ministro degli affari interni, Van Boeyen, la quale scatenò molte discussioni. Persino la regina Wilhelmina fu toccata dalla decisione e rifiutò l’idea della costruzione di un campo per rifugiati nelle vicinanze della residenza reale, nonostante il palazzo si trovasse a più di venti chilometri di distanza.
Il governo riconsiderò dunque la questione e venne proposta la cittadina di Westerbork, localizzata nella provincia di Drenthe. Venne così presa la decisione di incominciare i lavori di costruzione del campo, anche se gli abitanti di Westerbork non furono poi del tutto entusiasti. Il campo si trovava comunque a una distanza tale per cui i rifugiati non sarebbero riusciti a integrarsi nella società, mentre i residenti che possedevano delle piccole attività come ad esempio un negozio, avrebbero sicuramente tratto beneficio dai nuovi clienti.
La costruzione del campo di Westerbork, o meglio del centro di accoglienza cominciò nell’estate del 1939. I primi rifugiati, che erano 22, arrivarono e si stabilirono il 9 ottobre e da questo momento in poi cominciarono a lavorare.
“Più andavamo avanti, più soli diventavamo. Ad un certo punto tutto quello che potevamo vedere erano campi di erica e qualche cespuglio qua e là. E nel punto dove il campo dei rifugiati sarebbe stato eventualmente costruito, c’era un enorme altopiano dove c’erano solo erica e sabbia e tutto questo era molto cupo e tetro. “
Essi cominciarono a lavorare appena le baracche furono costruite, nonostante non fossero ancora interamente conclusi i lavori della restante parte del campo. Era discretamente asciutto e caldo nelle baracche, ma all’esterno era umido e fangoso. Inoltre, la cucina del campo si trovava in una zona scomoda del campo e dunque non era scontato che i pasti caldi rimanessero tali. Questa fu una delle tante difficoltà con cui i rifugiati del campo erano costretti a convivere e ciò non permetteva sicuramente una vita piacevole.
Fin da subito i rifugiati dovettero lavorare duramente, in particolare in una grande fattoria. Il duro lavoro li teneva allenati e in forze ed era necessario perché il raccolto proveniente dai terreni della fattoria, avrebbe dovuto sfamare l’intero campo. Coloro che non erano abituati a svolgere lavori pesanti, si sentivano affaticati e doloranti. Successivamente i lavoratori si accorsero che avrebbero potuto procurarsi gli alimenti da altre aziende agricole poco distanti dal campo a prezzi bassi e con meno fatica.
Le gite fuori dal campo erano permesse, ma con i pochi centesimi a disposizione non riuscivano nemmeno a raggiungere i posti più vicini come Assen; inoltre i contatti con gli abitanti delle zone adiacenti erano rari e difficili.
Alla fine di gennaio i rifugiati erano solo 167, dal febbraio del 1940 il numero crebbe velocemente e alla fine di aprile i rifugiati a Westerbork divennero 749.
I prigionieri stavano conoscendo sempre più la loro nuova casa come un vero e proprio campo di concentramento. La paura e l’agitazione per i progetti di Hitler aumentava giorno dopo giorno, e le preoccupazioni incominciarono a diventare assillanti quando si resero conto che il campo di Westerbork era vicino ai confini della Germania.
Il 10 maggio 1940, quando le truppe tedesche invasero i Paesi Bassi, i soldati olandesi non erano preparati a questa nuova forma di guerra. Il 14 maggio Hitler fece bombardare Rotterdam e, quando minacciò di fare lo stesso per Utrecht, il comandante supremo delle forze armate olandesi, Henri Winkelman, capitolò.
A Westerbork, i fuggitivi ebrei non speravano più in un cambiamento. In seguito all’invasione del 10 maggio, misero in atto il piano di fuga che avevano elaborato dato che ormai conoscevano quella che sarebbe stata la loro sorte. La provincia di Zelanda avrebbe dovuto essere la prima destinazione, e da lì, la successiva il Regno Unito. Purtroppo dopo esseri saliti sul treno che gli aspettava a Hooghalen, non riuscirono nemmeno a raggiungere Zwolle perché il ponte sul fiume IJssel era stato fatto saltare in aria. L’esodo si interruppe a Leeuwarden e dopo essere stati ospitati per qualche giorno da alcune famiglie del posto, intrapresero il viaggio di ritorno per Westerbork.
All’interno del campo, vi erano delle regole che con il passare del tempo diventarono sempre più rigide e severe. Nessuno poteva entrare o uscire dai confini del campo, che erano indicati con dei segnali, a meno che non fosse munito di un’autorizzazione. Un certo J. Schol, di origini olandesi, venne incaricato dal ministero della Giustizia di occuparsi della gestione del campo. Il comandante impostò le basi per organizzare al meglio il funzionamento del campo, che sarebbe poi passato sotto il controllo tedesco. Venne inoltre assunta una brigata della polizia militare con il compito di supervisionare i confini e scortare i rifugiati ovunque essi andassero. Ciò che rese ancora più oppressiva la vita degli internati fu l’introduzione dell’appello, effettuato sia la mattina che il pomeriggio prima dell’inizio dei lavori. Vennero inoltre istituiti i cosiddetti gruppi di lavoro e venne nominato un leader per ogni caserma. La sorveglianza diventò una cosa estremamente seria e venne estesa anche all’interno delle camere da letto. I rifugiati vennero anche privati della possibilità di inviare e ricevere lettere. Queste misure, con lo sviluppo del regime nazista, portarono alla militarizzazione del campo.
Il comandante Schol, incaricato della gestione del campo, attuò, secondo i nazisti, un atteggiamento troppo umano e non sufficientemente violento nei confronti degli ebrei. Fu così che nell’agosto del 1941 ricevette una comunicazione ufficiale da Hitler, che sottolineava la presunta eccessiva agiatezza degli ebrei all’interno del campo.
”Ho l’impressione che gli ebrei siano trattati troppo umanamente qui e che, a causa dell’atteggiamento del comandante del campo, gli ebrei si sentano troppo a loro agio.”
Arthur Seyss-Inquart, commissionato da Hitler
In seguito a questo richiamo, Schol venne sostituito dal comandante della polizia di sicurezza.
Nel 1942, durante la conferenza di Wansee (Wansee Konferenz in tedesco) venne presa la decisione di incominciare lo sterminio pianificato (Soluzione Finale) di tutti gli ebrei e ne conseguirono delle complicazioni per il campo di Westerbrock. Il 1º luglio del 1942, il campo venne designato come “Polizeiliches Judendurchgangslager”, ovvero campo di transito forzato per gli ebrei.
Nei paesi occupati dell’Europa occidentale (Francia, Belgio, Olanda, e quindi dopo l’8 settembre 1943 anche l’Italia) la decisione fu di non creare ghetti o campi di sterminio e di evitare il più possibile atti aperti di violenza antiebraica. L’antisemitismo era minore, e si aveva timore di esacerbare un’opinione pubblica già in larga parte ostile. Si istituirono così appositi campi di internamento o di transito lontani dai centri abitati dove la popolazione ebraica potesse essere raccolta prima di essere trasferita nei campi di concentramento o sterminio della Polonia. Al Campo di concentramento di Westerbork nei Paesi Bassi viene così assegnata la stessa funzione svolta in Francia dal campo di internamento di Drancy, in Belgio dal campo di transito di Malines, e in Italia dal campo di Fossoli. Westerbork diviene uno dei terminali degli arresti e rastrellamenti di ebrei condotti su tutto il territorio olandese e punto di partenza per le deportazioni.
Dopo l’invasione tedesca dei Paesi Bassi, i nazisti presero il campo e lo trasformarono in un campo di deportazione. Dal 1942 al 1945 vennero deportate da Westerbork circa 107.000 persone su 93 treni differenti, 101.000 ebrei olandesi e circa 5.000 ebrei tedeschi. Inoltre, vennero deportati circa 400 zingari e alla fine della guerra, circa 400 donne del movimento di resistenza. La prima deportazione risale al 15 luglio 1942 con destinazioni Auschwitz e Birkenau. Tra il luglio del 1942 e il settembre del 1944 quasi tutti i martedì un treno merci portava i prigionieri nei campi di concentramento di Auschwitz-Birkenau (65 treni carichi in totale di 60.330 persone, la maggior parte dei quali furono uccisi nelle camere a gas all’arrivo), Sobibor (19 treni carichi in totale di 34.313 persone, che furono uccisi tutti sul posto), Bergen-Belsen e Theresienstadt (9 treni carichi in totale di 4.894 persone, dei quali circa 2.000 sopravvissero alla guerra). A Berlino veniva stabilita la data, la destinazione e il numero di deportati, mentre il comandante delle SS di Westerbork era solamente incaricato di preparare il trasporto. L’ultimo trasporto rilevante fu il 13 settembre 1944, con 279 ebrei a bordo ed era destinato a Bergen-Belsen. Solamente 5.200 persone fra le 107.000 persone che vennero deportate sono sopravvissute.
Il 12 aprile 1945 la seconda divisione di fanteria canadese liberò le diverse centinaia di abitanti che non erano ancora stati deportati da Westerbork. I primi soldati che raggiunsero il campo erano dell’ottavo reggimento Reconnaissance, seguiti dalle truppe del sud del Saskatchewan reggimento.
Tra l’aprile 1945 e il dicembre 1948 il campo di Westerbork venne utilizzato come campo di internamento per gli agenti SS, NSB e tutti coloro che erano sospettati di aver svolto attività pro-naziste e di aver abusato di posizioni di autorità. Nel 1945 a Westerbork abitavano ancora ben 850 ebrei, questo creò una situazione caotica, in quanto la convivenza tra filo-nazisti ed ebrei era chiaramente difficile. Le condizioni di vita erano disagiate, abusi sia fisici che psicologici erano quotidiani e portarono addirittura alla morte di 89 detenuti nei soli primi quattro mesi. Già nell’autunno del 1945 la situazione all’interno del campo migliorò grazie al trasferimento degli ebrei e all’introduzione di radicali misure di controllo. Vennero permesse le prime visite alle famiglie e agli amici dei detenuti. Dal gennaio del 1946 l’obbiettivo del campo mutò concentrandosi sulla riabilitazione e rieducazione dei reclusi, le punizioni diminuirono e le condizioni di vita sociale migliorarono grazie all’introduzione di un teatro, una radio, una libreria e la possibilità di praticare sport. Nel 1948 i costi del mantenimento divennero insostenibili, il governo perciò decise di rilasciare la maggior parte dei detenuti, ad eccezione dei “severe cases” ovvero coloro che si erano macchiati dei delitti più efferati. Nel dicembre del 1948 il campo di internamento chiuse definitivamente e anche gli ultimi prigionieri furono liberati.
Dopo la chiusura del campo di detenzione di Westerbork, la struttura fu sfruttata come base militare visto che i Paesi Bassi erano coinvolti in grandi offensive militari nelle Indie orientali olandesi. Dal 1948 al 1949 il ministero della guerra decise di stanziare le truppe di ritorno dal campo di battaglia e quelle che dopo un periodo di addestramento sarebbero dovute partire per il fronte. I soldati alloggiavano nelle ex baracche divisi in plotoni.