Ghetto di Minsk

Il Ghetto di Minsk, creato il 20 luglio 1941, subito dopo l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica, è stato il più ampio tra i ghetti nazisti creati in Bielorussia e il secondo in ordine di grandezza nei territori occupati dalla Germania nell’Unione Sovietica dopo quello di Leopoli (Leopoli, Ucraina). Il ghetto di Minsk ospitò attorno ai 100.000 ebrei, la quasi totalità dei quali morirono nell’Olocausto, in ripetuti massacri, fino alla liquidazione finale il 21-23 ottobre 1943.

Minsk era uno dei centri storici della presenza ebraica nell’Est europeo sin dal XVI secolo. I censimenti sovietici mostrano che nel 1926 erano 53.700 gli ebrei residenti a Minsk (costituendo quasi il 41% degli abitanti della città); nel 1939 il loro numero era cresciuto a 70.998 (pari al 30% della popolazione totale). La presenza ebraica crebbe ancora dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale con l’arrivo di migliaia di rifugiati dalla Polonia occidentale occupata dai tedeschi già nel settembre 1939.

Nel giugno 1941 inizia con l’Operazione Barbarossa l’invasione tedesca anche dei territori sovietici. Durante i tre anni di occupazione (1941-44), la parte occidentale della Bielorussa divenne Commissariato Generale della Russia Bianca (Generalkommissariat Weissruthenian), parte del Commissariato del Reich Ostland (Reichskommissariat Ostland), con Minsk come capitale.

Soltanto una piccola frazione degli ebrei di Minsk riuscì a lasciare la città prima dell’arrivo delle truppe tedesche, il 28 giugno 1941. Il lancio di paracadutisti tedeschi a est della città tagliò ogni via di fuga e costrinse migliaia di profughi, tra cui moltissimi ebrei, a rientrare a Minsk.

Le persecuzioni antiebraiche cominciarono immediatamente. Le autorità tedesche, sotto minaccia della pena di morte, ordinarono a tutti i maschi di età compresa tra i 15 e i 45 anni di presentarsi per essere censiti. I 40.000 che si presentarono furono condotti in un campo di raccolta a Drozdy, fuori Minsk, e divisi in tre gruppi: ebrei, membri dell’Armata Rossa e civili non ebrei. Solo quest’ultimi furono rilasciati dopo alcuni giorni, mentre i soldati dell’Armata Rossa furono avviati ai campi di prigionia. Quanto agli ebrei, 2000 di essi che furono identificati come membri dell’intellighenzia furono portati nei boschi vicini e massacrati. Gli ebrei rimasti furono trasferiti nella prigione di Minsk e rilasciati il 20 luglio 1941. Lo stesso giorno fu istituito il ghetto di Minsk, tutte le proprietà ebraiche furono confiscate e fu ordinato a ogni ebreo di indossare la stella di David.

L’area destinata a ghetto era un sobborgo della città fatto per lo più di cottage di legno, circondato da una robusta recinzione in filo spinato, con torri di guardia a controllarne il perimetro e gli accessi. La popolazione totale del ghetto era di circa 80.000-100.000 persone, di cui la metà erano abitanti della città di Minsk, il resto vi erano giunti some rifugiati e vi erano stati deportati dai tedeschi da centri vicini. Le condizioni di vita erano disumane. Molti degli edifici erano in precarie condizioni, privi di finestre, riscaldamento o semidiroccati. Ad ogni adulto fu assegnato uno spazio abitativo di un metro e mezzo quadrato (nessuno spazio aggiuntivo fu considerato per i numerosi bambini). Le scorte alimentari erano precarie, ben al di sotto del limite di sussistenza, e rilasciate solo a chi fosse impiegato nel lavoro coatto. Del tutto insufficienti risultavano le forniture mediche, nonostante gli sforzi eroici del personale medico ebraico presente nei due ospedali del ghetto. Fame, freddo e malattie causarono numerose vittime.

Con il ghetto fu istituito anche un Consiglio ebraico (Judenrat), presieduto da Elijahu Muszkin, e un corpo di polizia ebraica, cui era demandato il compito di mantenere l’ordine nel ghetto e di eseguire le direttive delle autorità naziste. Come in tutti i maggiori ghetti nazisti, gli ebrei “abili” furono costretti a lavorare nelle fabbriche o in altre operazioni gestite dalla Germania. Agli ebrei non era consentito di uscire dal ghetto se non per il lavoro coatto. Di notte vigeva il coprifuoco anche all’interno del ghetto.

Soprattutto, la popolazione del ghetto continuò ad essere terrorizzata da frequenti rastrellamenti, che si ripeterono con particolare violenza il 14, 25 e 31 agosto, seguiti da uccisioni sommarie che costarono la vita a circa 5.000 uomini. Heinrich Himmler che il 15 agosto fu presente a uno di questi massacri, li trovò demoralizzanti per il morale delle truppe tedesche; l’esperienza lo spinse alla ricerca di sistemi più “anonimi” ed efficienti, come la gassazione.

Il 7 novembre 1941, in quello che fu il primo grande massacro indiscriminato a colpire anche donne, vecchi e bambini. Migliaia di ebrei furono catturati e portati a Tuchinka, dove furono mitragliati e sepolti in fosse comuni. Alcune delle strade svuotate furono usate tre giorni dopo per ospitare, in un ghetto speciale (Sonderghetto), 1.500 ebrei tedeschi, la maggior parte dei quali provenienti da Amburgo. Per questo lo si chiamò “ghetto di Amburgo” (Ghetto Hamburg). Altri 6.500 ebrei giunsero nei giorni successivi da Francoforte, Brema, Berlino e la regione del Reno. Per far loro spazio, il 20 novembre 1941, in un secondo massacro, altre 5.000-7.000 persone furono condotte a Tuchinka, dove furono uccise, il che portò il totale delle vittime di novembre a oltre 12.000 persone.

Alla fine saranno quasi 24.000 gli ebrei tedeschi deportati a Minsk da Amburgo, Francoforte, Berlino, la Renania, Brema, Vienna e dal Protettorato di Boemia e Moravia, tra il novembre 1941 e l’ottobre 1942.[2] 19.000 di loro, ovvero quanti non saranno uccisi direttamente al loro arrivo al vicino campo di sterminio di Malyj Trostenec, furono prima ospitati al ghetto di Minsk.[3] Per mezzo di recinti di filo spinato, il ghetto era ormai diviso in tre sezioni: il ghetto principale per ebrei “non specializzati”; una sezione per lavoratori “qualificati” e membri dello Judenrat, compresa la polizia del ghetto; e la sezione speciale che ospitava gli ebrei tedeschi, austriaci e cechi.

I massacri proseguirono senza tregua nel 1942. All’inizio dell’anno giunsero a Minsk anche i primi due Gaswagen, con i quali si poterono accelerare le operazioni di sterminio.

Alla vigilia di Purim, le autorità tedesche richiesero al Judenrat la consegna di 5.000 persone (bambini e anziani). Di fronte al rifiuto di collaborare, il 2 marzo del 1942, in un terzo maggiore massacro, reparti di collaborazionisti lituani, al comando di Antanas Impulevičius, entrarono nel ghetto. Molti ebrei furono sepolti vivi in una grande fossa scavata in via Ratomskaja nelle vicinanze del ghetto (dove ora si trova il monumento commemorativo di “Yoma”); tra di loro 200-300 bambini dell’orfanotrofio. Altri ebrei furono condotti nella foresta di Kodianovo (Dzjaržynsk) e fucilati, altri ancora furono lasciati la notte all’aperto a morire per assideramento. Alla fine i morti saranno circa 5.000. Per il loro rifiuto a collaborare, il presidente dello Judenrat Elijahu Muszkin fu impiccato insieme al capo della polizia ebraica. A sostituire Muszkin fu chiamato Mosze Jaffe, un avvocato da Vilnius.

I massacri si ripeterono a ritmo serrato, il 31 marzo, il 2-3 aprile, il 15 aprile, il 23 aprile e ancora nel maggio 1942. Nel frattempo il 7-8 maggio divenne operativo il campo di sterminio di Malyj Trostenec, a poche miglia da Minsk. Il 2 giugno 1942 un altro trasporto giunse nel ghetto, questa volta proveniente da Vienna.

Un quarto grande massacro si compì nei giorni 28-30 luglio 1942. Furono uccise più di 10.000 persone, inclusi 3.500 ebrei tedeschi, austriaci e cechi, la maggior parte dei quali erano anziani, donne e bambini. In esso ebbero per la prima volta impiego massiccio i Gaswagen. Ad agosto 1942, restavano ormai nel ghetto meno di 9.000 persone (8.794, secondo i documenti ufficiali tedeschi). Ormai anche i treni provenienti dall’ovest, dal campo di concentramento di Theresienstadt, venivano indirizzati direttamente al campo di sterminio di Maly Trostenets, con l’eccezione di poche persone selezionate per il lavoro coatto.

Nel 1943 si procedette speditamente alle ultime fasi della liquidazione del ghetto. Il 1º febbraio 1943, almeno 1.500 persone furono massacrate nel campo di sterminio di Malyj Trostenec. Nel maggio 1943 si eliminarono tutti i pazienti e i dottori dell’ospedale. Donne, anziani e bambini continuarono a essere uccisi a piccoli gruppi durante l’estate del 1943. Un trasporto di 2.000 uomini fu inviato al campo di lavoro di Budzyn vicino a Lublino il 10 settembre, altri partirono il 18 settembre per il campo di sterminio di Sobibór.

Il ghetto fu definitivamente chiuso il 21-23 ottobre 1943; Dall’8 settembre 1943 iniziarono ad arrivare anche prigionieri di guerra Italiani e civili rastrellati nei territori appena occupati dai Tedeschi. il quinto e finale grande massacro nella storia del ghetto si concluse con l’invio degli ultimi 2.000 sopravvissuti al campo di sterminio di Malyj Trostenec. Si conosce la sorte di solo 23 persone che rimasero nascoste in un rifugio sotterraneo nell’area del ghetto; di essi 13 riuscirono a sopravvivere fino alla fine della guerra grazie all’aiuto ricevuto da una donna bielorussa, Anna Dvac. Quando l’Armata Rossa riconquistò la città di Minsk il 3 luglio 1944, vi si trovarono solo pochi ebrei ancora in vita, di quella che un tempo era stata una delle più numerose comunità ebraiche dell’Est europeo.

A Minsk e nell’area adiacente operarono diverse formazioni partigiane. Un’organizzazione di resistenza ebraica si costituì all’interno del ghetto già nell’agosto del 1941, in stretta collaborazione con i partigiani sovietici. Michail L’vovič Gebelev ne fu il carismatico leader. A differenza di quanto avvenuto in altri ghetti nazisti, le autorità di autogoverno dello Judenrat agirono sempre in accordo con la resistenza clandestina.

Scartata come impraticabile l’idea di una rivolta nel ghetto, l’attività della resistenza si concentrò su come rendere possibile la fuga e sull’organizzazione dell’accoglienza dei fuggitivi nella foresta. Il numero di coloro che tentarono la fuga non è conosciuto (forse 20.000-30.000). A fare loro da guida erano generalmente dei ragazzini, che potevano muoversi con più facilità tra le linee e sfuggire ai controlli cui tutti gli adulti abili al lavoro erano sottoposti. Si calcola che siano stati circa 10.000 i fuggitivi che riuscirono nell’intento di raggiungere i gruppi partigiani nelle foreste vicine, evitando la cattura; di essi la metà sopravvissero alla guerra.

Michail L’vovič Gebelev rimase fino all’ultimo all’interno del ghetto per coordinare i piani di fuga, finché fu catturato e ucciso dalla Gestapo nell’agosto 1942. Quando, due settimane dopo la liberazione, il 16 luglio 1944, le truppe partigiane sfilarono per il centro di Minsk, fra di loro vi erano 5.000 ebrei fuggiti dal ghetto grazie agli sforzi della resistenza e sopravvissuti nella foresta.

Diversi sono i monumenti costruiti a Minsk in memoria degli ebrei morti del ghetto.

Già nel 1947 un obelisco fu eretto a ricordo dei circa 5.000 ebrei morti nel massacro del 2 marzo 1942 nell’area dell’esecuzione (Yama), con un’iscrizione in yiddish e russo.