Louis-Ferdinand Céline

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Louis-Ferdinand Céline, pseudonimo di Louis Ferdinand Auguste Destouches (Courbevoie, 27 maggio 1894 – Meudon, 1º luglio 1961), è stato uno scrittore, saggista e medico francese.
Lo pseudonimo, con cui firmò tutte le sue opere, era il nome della nonna materna Céline Guillou.
Considerato un originale esponente delle correnti letterarie del modernismo e dell’espressionismo, Céline è ritenuto uno dei più influenti scrittori del XX secolo, celebrato per aver dato vita ad uno stile letterario che modernizzò la letteratura francese ed europea. La sua opera più famosa, Viaggio al termine della notte (Voyage au bout de la nuit, 1932), è un’esplorazione cupa e nichilista della natura umana e delle sue miserie quotidiane. Lo stile del romanzo, e in generale di tutte le opere di Céline, è caratterizzato dal continuo ed eclettico amalgamarsi di argot, una particolare forma di gergo francese, e linguaggio erudito, e dal frequente uso di figure retoriche, quali ellissi ed iperboli, oltreché dall’impiego di un dissacrante e spiazzante humour nero, che lo impose come un innovatore nel panorama letterario francese. La maggioranza dei suoi libri originano da spunti autobiografici, e sono narrati in prima persona da Ferdinand, il suo alter ego letterario.
Partecipò volontario alla prima guerra mondiale, rimanendo ferito gravemente e parzialmente invalido, nonché segnato psicologicamente per sempre dall’esperienza. Per le sue prese di posizione politiche e affermazioni in favore delle potenze dell’Asse, prima e durante la seconda guerra mondiale (si espresse anche in favore del collaborazionismo della Francia di Vichy con la Germania nazista dopo la sconfitta del 1940), esposte in pamphlet violentemente antisemiti, Céline rimane oggi una figura controversa e discussa. Emarginato dalla vita culturale dopo il 1945, il suo stile letterario fu preso a modello da alcuni scrittori che gravitavano attorno alla Beat Generation statunitense. Anche Charles Bukowski aveva grande ammirazione per la prosa letteraria di Céline, tanto da definirlo “il più grande scrittore degli ultimi duemila anni”. Louis-Ferdinand Céline nacque a Courbevoie, un comune poco distante da Parigi, in Rampe du Pont 11, il 27 maggio 1894, figlio unico di Fernand Destouches (Le Havre, 1865 – Parigi, 1932), redattore in una compagnia di assicurazione, di origine per metà normanna e per metà bretone, e di Marguerite Louise-Céline Guillou (Parigi, 1868 – Parigi, 1945), di remote origini bretoni, proprietaria di un negozio di porcellane, mobiletti e merletti al Passage Choiseul di Parigi, luogo che marcherà Céline a vita e che sarà all’origine di pagine memorabili dei suoi romanzi, primo fra tutti “Morte a credito”.
Il padre era un uomo pervaso da un forte senso di frustrazione e declassamento sociale, sentimento reso ancora più acuto dal ricordo del proprio padre, che era professore ordinario di francese, oltreché autore di poesie e racconti, che si pubblicavano sui giornali di Le Havre. Fernand Destouches era istintivamente antisemita ed antimassone, sempre incline ad attribuire agli uni e agli altri le sue delusioni professionali. Di tutt’altra estrazione era la madre, che veniva da una famiglia di modesta estrazione socio-economica, composta da piccoli rivenditori di anticaglie e ambulanti di robivecchi.
Céline avrà un ricordo negativo dell’infanzia, che rivivrà come un periodo di ristrettezze economiche e, soprattutto, morali, educato ad una mentalità piccolo borghese e al più rigido rispetto delle gerarchie sociali. Nei ricordi della sua infanzia, le uniche figure positive sono la nonna materna, Céline Guillou (1847-1904), da cui l’autore trarrà il suo famoso pseudonimo, una donna forte, energica e lavoratrice, rimasta fedele alla sua origine e a un modo di esprimersi popolare; e lo zio Julien (detto Louis) con cui aveva un rapporto di complicità e di comuni interessi nel campo delle nuove tecnologie del tempo.
Dopo aver frequentato le scuole dell’obbligo, il padre decide di mandarlo all’estero a studiare le lingue. Seguono due soggiorni, uno in Germania, dove resterà dall’agosto 1907 all’agosto 1908, a Diepholz e da settembre 1908 a fine anno a Karlsruhe. Da febbraio a novembre 1909 sarà poi ospite di due pensionati in Inghilterra, il primo a Rochester e l’altro a Pierremont.
Particolare il luogo dove Céline trascorre l’infanzia, il passage Choiseul. L’autore nomina spesso questo luogo della giovinezza e più volte lo descrive come luogo angusto, come una sorta di prigione. I passages possono essere tutt’oggi ammirati a Parigi, ma non rappresentano degnamente quello che erano all’epoca di Céline. Alla fine dell’Ottocento ed inizi del Novecento, i passages erano vie parigine porticate tra due edifici, strette e poco luminose dove le famiglie vivevano in locali che svolgevano la doppia funzione di negozi/abitazione: l’attività commerciale si svolgeva al piano di sotto, ed a quello di sopra la normale vita familiare. Le prime lampade a gas erano state montate in quell’epoca; emanavano il loro ben noto odore di combustione, che era mischiato nella penombra a quello dell’urina.
Nel 1912, appena diciottenne, il giovane Céline si arruola volontario nell’esercito francese dove viene aggregato al “12e régiment de cuirassiers” a Rambouillet (l’episodio è straordinariamente descritto in Casse-Pipe del 1949).
Nel 1914 scoppia la prima guerra mondiale, Céline vi prende parte con valore come volontario ed ottiene diversi riconoscimenti.
Il 27 ottobre 1914 nel corso di una missione rischiosa (per la quale si era offerto volontario) nel settore di Poelkapelle (Fiandre Occidentali), resta ferito gravemente, ufficialmente al braccio destro e forse anche alla testa, come egli raccontava: avrebbe subito un forte contraccolpo al cranio che gli causò una lesione cerebrale, oltre al braccio fratturato che gli resta parzialmente impedito per danno permanente ai nervi. Venne operato inoltre due volte alla testa per un danno ai timpani dovuto ad un’esplosione e forse subisce una trapanazione cranica che peggiora la situazione (questo fatto è controverso e probabilmente non avvenuto, dato che è testimoniato solo da lui stesso e non si trova nelle cartelle cliniche).
Per tale episodio viene decorato con la Croce di guerra con una stella di argento e con la Médaille militaire, e si guadagna la copertina dell’Illustré National. Nel 1915, dopo aver a lungo vagato negli ospedali, ottiene il congedo e viene riformato per invalidità al 75%, ottenendo una modesta pensione di guerra.
Sarà proprio questa guerra che apre gli occhi a Céline su quanto sia delicata ed impotente la vita umana. La guerra, oltre a segni fisici (difficoltà a muovere il braccio destro, udito diminuito, vertigini, dolori in diverse parti del corpo, emicrania), gli lascerà anche segni mentali: disturbo post-traumatico, insonnia per il resto della sua vita, paranoia, e le sue orecchie non si libereranno mai di alcuni fischi (acufeni, ma a volte soffre di allucinazioni uditive).
L’angoscia su quello che è l’esistenza non lo lascerà mai più, fornendo la base per il suo nichilismo, pessimismo e forte misantropia, a volte spinti al cinismo, temperati dal suo futuro lavoro di medico e dalla sua istintiva compassione per la sofferenza: nella sua scrittura e nella sua vita l’amore e l’odio si mescolano inestricabilmente.
Assegnato presso l’ufficio visti del consolato generale francese di Londra, frequenta gli ambienti del music-hall e della prostituzione dove incontra la sua prima moglie, la barista Suzanne Nebout (dalla quale si separa dopo pochi mesi, dato che il matrimonio non fu registrato nemmeno in Francia).
Ottenuto il congedo nel 1916 firma un contratto con la Compagnie Francaise Shanga Oubangui per dirigere una piantagione di cacao in Camerun. Dopo nove mesi, spossato dalla malaria, torna in patria e trova impiego presso una piccola rivista di divulgazione scientifica (esperienza descritta in Mort à Crédit).
Si laurea in Medicina e Chirurgia il 1º maggio 1924 presso l’Università di Rennes. La sua tesi di laurea costituisce un’opera molto importante, in grado di trascendere la freddezza delle argomentazioni mediche per romanzare l’esperienza del medico Semmelweis, colui che introdusse il metodo dell’asepsi nella pratica ospedaliera.
Nel 1919 sposa Édith Follet, figlia di un medico, da cui divorzia nel 1926. Da Édith avrà la figlia Colette (1920-2011), poi coniugata Turpin, che gli darà cinque nipoti che, a suo dire, non ebbero mai rapporti con lui (la figlia invece lo visitava spesso a Meudon, mentre il rapporto col genero fu sempre molto conflittuale).
Dal 1924 al 1928 lavora per la Società delle Nazioni che lo invia a Ginevra, Liverpool, poi in Africa, negli Stati Uniti d’America, in Canada e a Cuba. In questi spostamenti è spesso medico di bordo. Durante questi viaggi Céline affina la sua cultura e si rende conto che: “Il viaggio (sia fisico che mentale) è l’unica cosa che conta, tutto il resto è delusione e fatica”. In questo periodo svilupperà la sua convinzione sull’inaridimento dell’uomo moderno. Rientrato in Francia nel 1928, si stabilisce a Montmartre dove svolge la professione di medico dei poveri, quasi gratuitamente. Durante le interminabili notti insonni scriverà Viaggio al termine della notte (Voyage au bout de la nuit).
È proprio da questa sua attività di medico dei poveri, i quali non sono capaci di pagarlo, che Céline si accorge che la stessa povertà è una malattia, tremenda e senza cura. Continuando a visitare senza farsi pagare finirà per ammalarsi egli stesso di quella malattia.
Quella di Céline è una lotta contro un mondo che sogna soltanto il potere ed il progresso. Il mondo che è diventato una malattia cronica. La morte sembra l’unica cosa veramente coerente. La scrittura stessa è un modo di sconfiggere la morte. Morte e ironia sono le sole cose che fanno intravedere una speranza di guarigione dalla malattia della vita moderna. Ottenibile solo se l’uomo saprà tornare ad essere un individuo ben distinto dal resto del gregge, capace di scappare da quella piattezza e da quel grigiore dove è stato relegato.
L’antisemitismo accanito di Céline traspare da alcuni suoi scritti ed è esplicitamente illustrato in tre pamphlet sulla questione: Bagatelle per un massacro (Bagatelles pour un massacre, 1937), La scuola dei cadaveri (L’École des cadavres, 1938) e La bella rogna o I bei drappi (Les Beaux Draps, 1941). Se Bagatelle è uno sfogo contro l'”influenza ebraica” e la possibile nuova guerra, ne La scuola dei cadaveri denuncia la rovina della Francia a suo dire causata dagli ebrei, dai comunisti e dai capitalisti, e invoca l’alleanza con la Germania hitleriana al fine di preparare lo scontro all’ultimo sangue tra stati ariani contro democrazie occidentali giudaizzate (Regno Unito e Stati Uniti d’America) e bolscevismo, essendo convinto dell’imminenza della guerra. Inoltre Céline reclamava una rigenerazione razziale della Francia, che avrebbe dovuto depurarsi dalle influenze meticce e mediterranee agganciandosi al Nord Europa. Carlo Bo scrive che “negli anni Trenta, Céline vantava (forse più di ogni altro) un bel curriculum di antisemita, ma dopo il ’40 andò oltre imboccando un razzismo scientifico, quale a suo avviso neppure i nazisti osavano sperare… Non si può non continuare a chiederci come mai uno scrittore di quella forza e di quella novità si sia lasciato trascinare da uno spirito più che polemico, predicatore di morte e di rovine.”
Céline non si dichiarò mai ufficialmente fascista (anzi è stato definito anche anarco-nazionalista) e, nonostante queste idee, Céline non fu mai organico completamente al regime collaborazionista di Vichy e alla Germania, benché con esso compromesso. Le sue posizioni nichiliste, nelle quali evocava il dissolvimento di vinti e vincitori, avevano un sapore troppo amaro per potere essere gradite ai gerarchi, così come la sua critica ai valori tradizionali e ai vari regimi.
Céline non ricavò grandi vantaggi dalle sue opinioni. Negli anni del secondo dopoguerra, tentava ancora una giustificazione del proprio razzismo antisemita sostenendo che aveva sempre parlato nell’interesse della patria, e che non era mai stato sul libro paga di giornali o movimenti filo-nazisti, al contrario di altri collaborazionisti non fu mai remunerato dalla «Propagandastaffel» tedesca come collaboratore intellettuale.
In un’intervista del 1957 affermò di avere scritto “degli ebrei” e non “contro gli ebrei”, e che i francesi non c’entravano nella guerra tra ebrei e Germania, mentre Hitler era definito, ambiguamente, “coglione come gli altri” ma abile politico, visto che Céline apprezzava l’idea di un’Europa franco-tedesca. Dopo il 1945 Céline cercò comunque di minimizzare il proprio ruolo di fiancheggiatore ideologico del Terzo Reich e non volle mai tenere molto in considerazione la realtà della Shoah e dei campi di concentramento (a parte l’accenno nella lettera personale prima citata), attirandosi a più riprese accuse di negazionismo. La moglie di Céline, Lucette, afferma che il marito si disse invece, in privato, “orripilato” dagli eventi dell’Olocausto, definendolo “atrocità”.
L’antiebraismo di Céline maturò a partire dal 1934 anche da vicende personali, sfociando poi in una sorta di delirio a sfondo politico e manie di persecuzione personali, convinto che gli ebrei volessero sabotarlo e riportare la Francia in guerra contro la Germania.
In quell’anno Céline si recò negli Stati Uniti d’America in cerca dell’amata Elizabeth Craig, la ballerina a cui aveva dedicato il Voyage, ritrovandola in California sposata con un ricco ebreo (nei libelli antisemiti un tema ricorrente è quello delle donne “ariane” sedotte dagli ebrei); inoltre, poco prima un dirigente ebreo sovietico aveva respinto un suo testo che doveva essere messo in scena al teatro di Leningrado e un medico ebreo prese il posto di Céline, licenziato dal dispensario di Clichy. Céline ebbe però anche un’amante ebrea, indicata nelle Lettere alle amiche come N.Bagatelle inizia proprio col protagonista arrabbiato per un suo balletto rifiutato, cosicché gli viene impedito di stare a contatto col mondo delle ballerine da lui amate.
Egli continuò a vantare la propria fede pacifista e a considerare i suoi pamphlet degli esercizi di umorismo nero, seppur volto contro gli ebrei, affermando che la “persecuzione” ai suoi danni era perpetrata più dai comunisti a causa del libello antisovietico Mea culpa:
Bisogna notare che nelle prime opere, specialmente in Mort à crédit, Céline aveva trattato questi temi in tono minore: ad esempio, quando il padre nervoso se la prende con tutti, tra cui ebrei, massoni, bolscevichi, capitalisti, viene descritto in maniera grottesca. Inoltre, Cèline non era nuovo alle accuse di ambiguità politica: il suo primo romanzo, Voyage au bout de la nuit, appena pubblicato fu accusato di essere antipatriottico e disfattista, e segnò la svolta di Céline con la stesura del pamphlet Mea culpa, dove inizia a sviluppare sentimenti antisemiti e antidemocratici. Da allora in poi Céline ha sempre dichiarato a gran voce il suo patriottismo e il suo legame alla nazione, più o meno nella stessa maniera del suo alter ego Bardamu nel Voyage: quando all’ospedale militare scopre che un vecchio soldato che non fa altro che gridare “Viva la Francia!” viene trattato meglio degli altri pazienti, inizia anch’egli a gridare “Viva la Francia” ad ogni momento.
Finché i rapporti diplomatici tra la Germania e il resto dell’Europa non precipitarono, l’antisemitismo era ampiamente diffuso in ogni classe sociale di tutte le nazioni europee (l’affare Dreyfus era avvenuto pochi decenni prima, nel 1894, anno di nascita di Céline). I primi pamphlet di Céline a tema patriottico e antisemita ebbero un ottimo successo di pubblico e un discreto riscontro economico, generando però aspre polemiche che portarono al ritiro dal commercio delle suddette opere: nel 1939 Denoel e Céline vennero denunciati per diffamazione e condannati, e le vendite dei loro libri furono proibite. Sebbene in Bagatelle per un massacro e in La scuola dei cadaveri Céline criticasse duramente il massone Pétain (poi Presidente della Francia di Vichy) che accusa di aver portato la Francia all'”inutile strage” del 1914-1918 contro la Germania, dopo il 1940 e l’invasione tedesca si schierò a suo favore nel collaborazionismo con i nazisti.
I pamphlet, nonostante Céline dopo la guerra avesse cercato di negarlo, sono ricchi di classici cliché antisemiti della teoria del complotto giudaico, dove ebrei poveri e artisti ebrei hanno la precedenza sui corrispondenti non ebrei, e gli ebrei ricchi e guerrafondai o intellettuali governano il mondo (visioni riprese dai tipici scritti antigiudaici come i Protocolli dei Savi di Sion o il Mein Kampf):

L’antisemitismo, come detto, era certo molto diffuso e Céline si inserì in questo filone, ottenendo in questo modo grande successo letterario con le vendite dei suoi pamphlet, soprattutto in Francia.
Pasquale Panella, poeta italiano, che spesso recita Céline in teatro, dichiarò su questo tema:
Nell’ultimo pamphlet Les Beaux Draps, uscito nel 1941 in tiratura limitata e “protetto” dagli ambienti collaborazionisti francesi, l’antisemitismo si fa ancora più violento e la vena artistica diminuisce:
Si può dire che Céline investa il mondo intero con la sua rabbia, maturata di fronte alle esperienze tragiche della vita e confluita poi nelle opere, inserendosi nel filone di altri grandi romanzieri surreali e artisti “maledetti”, ricordando le parole di Céline stesso:
Nella sua ultima intervista preconizza una decadenza degli europei (i “bianchi”) sopraffatti dagli africani, e l’ascesa sopra tutti dei cinesi (i “gialli”), tornando sul tema degli ebrei, affermando ancora che la Francia era finita in guerra per fare i loro interessi:
Dopo l’inizio della guerra sposò la sua terza moglie (seconda per la legge francese), anch’essa ballerina, Lucie Georgette Almansor (nata nel 1912), detta Lucette o Lili, conosciuta nel 1936.
Nel 1944, con la liberazione della Francia da parte degli eserciti alleati, Céline attraversa a piedi il territorio francese giungendo fino a Sigmaringen, ove i Tedeschi avevano fatto confluire i membri del governo collaborazionista di Vichy. Di questo periodo della vita del Dottore sappiamo solo quello che traspare dai tre romanzi che compongono la cosiddetta “Trilogia del Nord” (vale a dire Da un castello all’altro, Nord e Rigodon), oltre a quanto si può desumere dalle poche lettere che Céline scriveva agli amici, sotto pseudonimo. Attraversa con le orde dei profughi la Germania, curando ammalati e aiutando diversi sfollati.
Nel 1945 finita la seconda guerra mondiale l’accusa di antisemitismo e collaborazionismo gli valsero l’esilio dalla Francia. Troverà alloggio in Danimarca dove resterà fino al 1951. Céline, che in Rigodon descrive la Danimarca come l’agognata terra promessa, è costretto a ricredersi sin dai primi giorni: appena arrivato a Copenaghen, aveva telegrafato a Parigi per sapere notizie di sua madre. La risposta di un parente gli annuncia che ella è morta e lui deve considerarsi responsabile di quella morte.
Durante i primi mesi in Danimarca (dove Céline si è recato per recuperare del denaro dei diritti d’autore depositato prima della guerra), da marzo a dicembre 1945, Céline e la moglie Lili vissero in clandestinità nell’appartamento di un’amica danese allora assente. Venne comunque notata la loro presenza e il 17 dicembre 1945 i coniugi Destouches vennero arrestati da poliziotti in borghese. Céline, credendo si trattasse di assassini, si diede alla fuga sui tetti, salvo essere catturato e rinchiuso in prigione nel carcere Vestre Faengsel per quattordici mesi. La moglie viene liberata ma lui è trattenuto in custodia preventiva per un anno e tre mesi. La segregazione in cella, l’obbligo di restar seduto tutto il giorno, lo scorbuto e la pellagra dovuti all’alimentazione insufficiente devastano il fisico dello scrittore, già provato dall’esperienza di Sigmaringen.
Nel febbraio del 1947 Céline ottiene la libertà provvisoria ed è ricoverato al Rigshospitalet di Copenaghen. Quattro mesi dopo viene liberato e va a vivere con la moglie in una soffitta della Kronprinsessegade. Il periodo del suo soggiorno danese che va dall’estate del 1948 all’estate del 1950 lo passò a Korsør, in una capanna sulle rive del Baltico, di proprietà dell’avvocato di Céline, priva di gas, elettricità ed acqua. Ma quel che più pesa a Céline è la solitudine. Il 1950, che vede la condanna di Céline da parte del Tribunale di Parigi e la travagliata operazione di Lili a Copenaghen, segna il momento forse più doloroso del suo esilio danese. Lo scrittore viene condannato in contumacia a un anno di carcere da scontare in Francia. Nel 1951, l’amnistia che libera buona parte dei collaborazionisti o commuta le loro pene, e la guarigione di Lili porranno fine al periodo più buio di questa esperienza.
Il ritorno in Francia non è tuttavia privo di difficoltà: tutti gli scrittori di sinistra, su tutti Jean-Paul Sartre, chiederanno che sia ignorato e dimenticato da qualsiasi salotto letterario o centro culturale francese. Sartre in particolare lo additò come l’emblema del collaborazionista nel saggio “Portrait de l’antisémite” (Ritratto dell’antisemita). Nel 1948 Céline aveva replicato a “Tartre” (“tartaro”, com’egli definiva Sartre) con l’articolo “A l’agité du bocal” (“All’agitato della brocca” espressione gergale che significa “Al tizio in stato di confusione mentale”, tradotto in italiano come All’agitato in provetta).Viene sminuito anche come scrittore, definendolo “una copia di James Joyce”, cosa che lo farà arrabbiare non poco. Pochi lo difesero pubblicamente, tra di essi vi fu inaspettatamente Albert Camus, scrittore ed ex partigiano antinazista, che scrisse a suo favore durante il periodo del processo, nonostante Céline non lo amasse per niente e lo definisse “un moralista”. Del resto l’amnistia del 1951 lo liberava dal pericolo di essere incarcerato, specialmente per i suoi meriti di combattente decorato nella prima guerra mondiale, gli permetteva di tornare in Francia da uomo libero, ma lasciava valida la pena accessoria (comminata per “indegnità nazionale”) della confisca di tutti i beni immobili in suo possesso e di quelli futuri (più tardi riuscirà ad acquistare una casa con la moglie, con l’espediente di attribuire a lei la proprietà),costringendolo a vivere con i pochi soldi della pensione di ex-combattente invalido di guerra, che gli viene permesso di continuare a percepire.
La diffusione delle opere di Céline soffrì inizialmente a causa della sua evoluzione antisemita e filonazista; Céline era spesso trascurato dai libri di testo nei paesi europei, Italia inclusa. Il suo nuovo editore, Gaston Gallimard (fondatore della Éditions Gallimard, nonché cugino e socio di Michel Gallimard, editore di Camus e altri celebri scrittori), subentrato ad Albert Denoel, che era stato assassinato, riuscì tuttavia a sconvolgere le carte, grazie all’abilità di Roger Nimier.
Il lancio del nuovo romanzo di Céline, Da un castello all’altro, nel giugno del 1957, fu disturbato da una serie di scandali, che agitarono sia gli ambienti di destra che quelli di sinistra. Prima un’intervista all’Express del 14 giugno realizzata da Madeleine Chapsal, poi un’altra intervista, concessa ad Albert Parinaud e apparsa il 19 giugno, riaprirono un dibattito sullo scrittore francese che si protrasse fino a settembre.
Nel 1951, tornato in Francia dopo gli anni d’esilio in Danimarca, il dottor Destouches acquistò una casa a Meudon, un piccolo centro urbano a circa 10 km da Parigi. La casa da lui scelta si trovava su una collinetta dalla quale si dominava l’intera capitale. Céline aveva fatto piazzare la sua scrivania proprio davanti ad una finestra dalla quale si dominava il grande centro parigino. Continuò fino alla fine la sua attività di medico, anche se poche erano le persone che accettavano di farsi curare da lui. Da quella casa in dieci anni non uscì più di venti volte. Oltre alla fedele moglie, unici amici di Céline erano i numerosi animali di cui si era circondato.
Gli anni di Meudon sono gli anni dell’emarginazione sociale e culturale, ma la vena creativa non venne meno pubblicando Féerie pour une autre fois I (1952) e di Féerie pour une autre fois II detto anche Normance (1954). Sono poi gli anni della cosiddetta “trilogia tedesca” o “trilogia del nord” con D’un château l’autre (1957), Nord (1960) e Rigodon (1961, pubblicato postumo). «I suoi libri non si ristampano, e quando iniziano ad essere ristampati non si vendono», come ha scritto il critico Stenio Solinas. Unica consolazione per Céline è la pubblicazione nella «Bibliothèque de la Pléiade» dei suoi primi due romanzi, con la prefazione di Henri Mondor.
Di quando in quando riceveva un giornalista al quale dimostrava la nausea per l’ingratitudine dei compatrioti e per lamentarsi dei suoi persecutori che gli avevano causato danni morali ed economici. Pur non avendo subito la condanna capitale come toccò ad altri celebri uomini di cultura che collaborarono con il maresciallo Pétain (come Brasillach) egli soffrì e visse come un condannato, accentuando la sua misantropia.
Si appartò con Lucette in una casa zeppa di libri e cianfrusaglie, circondato da cani e gatti e in compagnia del pappagallo Toto spesso ritratto con lui. Si vestiva come un barbone con un paio di vecchi pantaloni sformati e tenuti su da una corda, maglioni consunti ed infilati l’uno sull’altro, la barba incolta.
Nel 1958 ricevette la visita di due autori beat statunitensi: il poeta Allen Ginsberg (di origini ebraiche) e lo scrittore William S. Burroughs, suoi ferventi ammiratori.
Il 29 giugno 1961 comunicò all’editore di aver terminato il romanzo Rigodon; il 1º luglio 1961 fu colpito da aneurisma: si spense, per la successiva emorragia cerebrale e nell’indifferenza, uno dei più grandi scrittori del ‘900, colui che seppe raccogliere, talvolta precorrendoli, i temi portanti del “secolo della violenza”. La sua morte fu inoltre oscurata sui giornali francesi dalla morte di un altro scrittore tra luci e ombre, celebrato in vita e vincitore del premio Nobel per la letteratura, Ernest Hemingway, suicida il giorno dopo.
Il quotidiano La Stampa lo ricordò con un breve articolo del 2 luglio, in cui lo scrittore fu definito «anarchico che predicò il razzismo» e liquidato come autore di libri dal “successo fugace”, “pieni di oscenità, scetticismo, odio e antisemitismo” e ormai in “squallida decadenza”. Solo dagli anni ottanta Céline fu riscoperto e riabilitato dal punto di vista letterario.
La casa di Céline, abitata dalla vedova fino alla morte di questa (8 novembre 2019), nel 1969 fu devastata da un incendio che distrusse gran parte delle sue carte.
Céline credette fino alla fine di venire sepolto al Père-Lachaise, il più prestigioso dei cimiteri di Francia dopo il Pantheon di Parigi, nella cappella di famiglia. La moglie, ben sapendo che il popolo francese si sarebbe opposto (nonostante per la legge lo scrittore ne avesse il diritto), lo fece invece seppellire nel cimitero di Meudon.
La tomba di Céline è una tomba molto semplice, una pietra sulla quale oltre a nome e date sono incise una croce in alto a sinistra e un veliero a tre alberi al centro: il veliero rappresenta l’amore per il viaggio che nutriva il dottore. Sulla tomba fu inciso anche il nome della moglie con la data di nascita, lasciando vuota la data di morte, a testimonianza del desiderio di essere sepolti insieme dei coniugi Destouches.