Campo di Villa Oliveto

Il campo di Villa Oliveto fu installato nel giugno del 1940 in un edificio già utilizzato nel 1934 come campo di addestramento per gli ustascia.

Il campo aveva una capienza di circa 70 posti, nel febbraio del 1941 erano presenti 64 internati, dei quali 30 ebrei e 34 ariani. Nell’agosto del 1941 gli internati erano 48, diventati 70 nel giugno 1942, scesi a 47 nel marzo 1943, e risaliti a 69 nell’agosto del 1943. Nel giugno 1944 il campo risultava ancora attivo con 14 internati.

Gli internati erano ebrei tedeschi, sudditi francesi, inglesi e polacchi. Nell’aprile del 1941 furono internati una cinquantina di marinai jugoslavi poi rilasciati.

La gestione del campo fu piuttosto difficile, si alternarono infatti ben otto direttori nel solo 1940. Tra quelli trovati nelle carte dell’ACS troviamo Gullino Vincenzo, fino al 9 maggio 1941, Longhi Ferdinando, dal 9 maggio 1941, Lo Piano Giuseppe (1941), Iacono Enrico (1941) Vitto Carlo e infine Giardina Carmelo, dal marzo 1943 al giugno 1944.

“Con l’arrivo dell’estate del 1942 le condizioni del campo iniziarono a peggiorare, a causa della mancanza cronica di acqua, sia per la pulizia personale sia per i servizi igienici; erano stati trovati insetti nei letti, mentre gli internati levavano di continuo proteste per la qualità e la quantità del vitto, le quali si rivelarono del tutto inutili. Anche l’assistenza sanitaria non era soddisfacente, poiché per mancanza di spazio non si trovava sul posto un’infermeria, e un medico veniva al campo da Arezzo tre volte la settimana.

Villa Oliveto fu uno dei campi in cui furono smistati gli ebrei di nazionalità inglese provenienti dalla Libia; vi giunsero alcuni gruppi di famiglie, con molti bambini, donne e anziani. L’arrivo dei libici, in condizioni di salute assai precarie, aggravò la situazione sotto molti aspetti. Un rapporto della Legazione Svizzera, che riportava le impressioni di una visita effettuata nel mese di gennaio del 1942, definiva pessime le condizioni sanitarie ed igieniche di Villa Oliveto: i servizi igienici erano del tutto inadeguati alle esigenze degli internati, poiché per circa ottanta persone vi era una sola doccia con acqua fredda e quattro lavandini; gli internati dovevano pagare una somma abbastanza consistente – la metà della diaria giornaliera -, per fare il bagno con acqua calda. Essendo permesso fare il bagno tre volte alla settimana, per tre volte al giorno, la proporzione non era adeguata al numero degli internati. Il vitto era scarso e scadente, e gli internati riuscivano a sopravvivere solo con i pacchi inviati loro dalla Croce Rossa. […]

La Legazione Svizzera riferiva, in una relazione dell’aprile del 1942, che l’edificio era troppo esiguo per contenere il gran numero di internati presente in quel momento, tra i quali 25 bambini e alcune donne in stato di gravidanza. Durante il periodo in cui il campo restò in funzione nacquero sette bambini. Una famiglia di 15 persone, ad esempio, doveva vivere in un unico vano, con solo sette letti; il rapporto rilevava che a più di due mesi dall’arrivo dei libici non era stata apportata nessuna modifica o miglioramento sostanziale. Molti di loro, poiché avevano perduto i bagagli durante il viaggio, erano senza indumenti adatti alle nuove condizioni climatiche.

Dopo i primi mesi assai difficili, nel giugno del 1942 fu deciso di trasferire tutti gli internati soli e di lasciare nel campo soltanto i gruppi familiari libici. Il vitto migliorò dopo che le famiglie di religione ebraica, accordandosi con il fornitore, avevano cominciato ad acquistare i prodotti da quest’ultimo e provvedevano a cucinarli secondo le loro regole alimentari. Un rabbino giungeva ogni sabato per la macellazione. Tuttavia la situazione sanitaria ebbe un nuovo peggioramento, dopo la partenza di un medico internato nel campo.”

Il 5 febbraio 1944 gli ebrei furono prelevati dai tedeschi e trasferiti prima nelle carceri di Firenze e poi a Fossoli, da dove vennero nuovamente trasferiti a Bergen-Belsen, dove rimasero 4 mesi prima di essere liberati.