Rivolta Ghetto di Mińsk Mazowiecki

A Minsk e nell’area adiacente operarono diverse formazioni partigiane. Un’organizzazione di resistenza ebraica si costituì all’interno del ghetto già nell’agosto del 1941, in stretta collaborazione con i partigiani sovietici. Michail L’vovič Gebelev ne fu il carismatico leader. A differenza di quanto avvenuto in altri ghetti nazisti, le autorità di autogoverno dello Judenrat agirono sempre in accordo con la resistenza clandestina.
Scartata come impraticabile l’idea di una rivolta nel ghetto, l’attività della resistenza si concentrò su come rendere possibile la fuga e sull’organizzazione dell’accoglienza dei fuggitivi nella foresta. Il numero di coloro che tentarono la fuga non è conosciuto (forse 20.000-30.000). A fare loro da guida erano generalmente dei ragazzini, che potevano muoversi con più facilità tra le linee e sfuggire ai controlli cui tutti gli adulti abili al lavoro erano sottoposti. Si calcola che siano stati circa 10.000 i fuggitivi che riuscirono nell’intento di raggiungere i gruppi partigiani nelle foreste vicine, evitando la cattura; di essi la metà sopravvissero alla guerra.
Michail L’vovič Gebelev rimase fino all’ultimo all’interno del ghetto per coordinare i piani di fuga, finché fu catturato e ucciso dalla Gestapo nell’agosto 1942. Quando, due settimane dopo la liberazione, il 16 luglio 1944, le truppe partigiane sfilarono per il centro di Minsk, fra di loro vi erano 5.000 ebrei fuggiti dal ghetto grazie agli sforzi della resistenza e sopravvissuti nella foresta.