Giovanni Borromeo

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Giovanni Borromeo (Roma, 15 dicembre 1898 – Roma, 24 agosto 1961) è stato un medico italiano. Medico italiano insignito del titolo Giusto fra le Nazioni di Israele. Lo Yad Vashem gli attribuisce il soccorso a cinque membri della famiglia Almagià, Ajò e Tedesco durante la seconda guerra mondiale. Secondo una vulgata che è stata progressivamente enfatizzata, avrebbe salvato la vita a oltre un centinaio di ebrei romani inventando una malattia inesistente con cui ricoverarli e che avrebbe chiamato Morbo di K. L’analisi dei documenti e di altre testimonianze, pur senza smentire l’azione di Borromeo nei confronti della famiglia del suo professore, Marco Almagià, ridimensiona la storia del “morbo di K”.

Figlio del noto medico romano Pietro e nipote di un altro medico Ercole, di famiglia di lontana origine milanese, già iscritto alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso l’Università di Roma, a diciotto anni parte per la Grande Guerra, dalla quale torna con una medaglia di bronzo al valor militare. Quindi, a ventidue anni, si laurea con 110 e lode e Premio Girolami. A soli trentun anni vince il concorso degli Ospedali Riuniti di Roma quale Primario Medico.

Negli Anni Venti rifiutò di prendere la tessera del Partito Nazionale Fascista e questo limitò le sue possibilità di carriera. Il 2 dicembre 1933 sposò Maria Adelaide Mangani dalla quale ebbe tre figli: Beatrice 1934, Pietro 1937 e Maria Cristina 1943. Nel 1934 venne nominato primario dal Priore dell’ospedale Fatebenefratelli all’Isola Tiberina a Roma, Fra’ Maurizio Bialek. Insieme trasformano l’antico Nosocomio, ormai ridotto a semplice cronicario, nel più moderno ed efficiente Ospedale di Roma.

Dopo l’8 settembre, durante l’occupazione nazista, l’ospedale, che si trovava in area extraterritoriale, divenne un porto di mare dove cercavano rifugio fuggiaschi di ogni provenienza, carabinieri, partigiani, antifascisti e fascisti in diserzione. All’ospedale lavoravano due giovani medici Vittorio Sacerdoti e Adriano Ossicini, l’uno come studente praticante sotto il nome di Salviucci e l’altro come medico volontario. Non vi sono ricostruzioni documentarie di questa vicenda che viene narrata in varie versioni nel libro di memorie di Ossicini Un’isola sul Tevere.

Le fonti sulla vicenda del soccorso agli ebrei sono discrepanti: mentre il libro di Pietro Borromeo e di Gordon Thomas attribuiscono a Borromeo l’iniziativa pianificata di aver inventato una malattia inesistente per salvare gli ebrei in pericolo, le testimonianze di Vittorio Sacerdoti e Adriano Ossicini, che non hanno alcuna relazione fra loro, suggeriscono che si sia trattato invece di un episodio isolato dettato dalle circostanze. Quest’idea sarebbe confermata dalle motivazioni per il riconoscimento fornite dalla commissione di Yad Vashem.

ll racconto di Sacerdoti (1998), inquadra la situazione del Fatebenefratelli dopo l’8 settembre dicendo che si era venuto a creare al suo interno un gruppo di medici che prestavano cure ai partigiani. Che questa attività era segreta e che lui, giovane e in una posizione precaria, veniva inviato a curare i partigiani alla macchia. Sacerdoti non specifica chi fosse parte di questo gruppo e non ne enfatizza la componente ideologica. Nella sua deposizione dà con precisione la data di questo evento: la giornata del 16 ottobre, 1943. Si trattava di 27 persone, suoi pazienti, che si erano recati in ospedale da lui sperando di sfuggire alla cattura. Sacerdoti dice che li fece ammettere con la diagnosi di tubercolosi e che Borromeo non si oppose. I pazienti rimasero per pochi giorni e poi dovettero uscire. Sacerdoti insiste più volte che dopo il 16 ottobre molti, anche di questo gruppo, caddero vittime delle delazioni. Sul motivo del ricovero, morbo di Koch, Sacerdoti spiega che tra i medici lo usavano con il doppio senso di Kesslring per identificare quei ricoverati che erano in realtà fuggitivi. Dalle parole di Sacerdoti si induce che questo codice riguardava tutti i fuggitivi, non solo gli ebrei che comunque furono un caso isolato. Richiesto su chi avesse pensato al codice, risponde “non saprei, lo usavamo, forse sarà stato il primario”.

Sia nelle sue memorie che in alcune interviste, Ossicini attribuisce la paternità del codice a Sacerdoti in relazione al soccorso degli ebrei. In un articolo cita un episodio molto specifico: “Ricordo ancora lo straziante grido di una madre in quell’alba, a via della Reginella, che urlava al figlio piccolo: «Scappa via, bello de mamma, scappa!». Questo ricovero degli ebrei facendo finta che fossero pazienti divenne poi, con l’aiuto del coraggioso primario, il professor Giovanni Borromeo – il quale per questa sua azione ha avuto poi, postumo, un riconoscimento solenne da Israele – abbastanza sistematico ed i soggetti ricoverati furono numerosi”.

Un identico episodio è narrato da Sacerdoti una decina d’anni prima. Si potrebbe pensare che Ossicini abbia messo insieme ricordi diretti e ricordi di seconda mano per spiegare perché Borromeo fosse stato riconosciuto Giusto fra le Nazioni. Di fatto, questo riconoscimento non avvenne per l’episodio del 16 ottobre ma per aver tenuto in ospedale in attesa che trovassero rifugio in un convento, 5 membri della famiglia allargata degli Almagià. Il famoso fisiopatologo Marco Almagià era stato professore di Borromeo ed è grazie all’intercessione dello zio che Sacerdoti aveva potuto rimanere, sia pur come “praticante studente” presso il Fatebenefratelli.

Nella versione di Pietro Borromeo e di Gordon Thomas autore di un libro apologetico su Pio XII, la storia viene presentata come parte di un’iniziativa di soccorso pianificata da Giovanni Borromeo nelle settimane precedenti alla retata del 16 ottobre. I due autori sostengono che Borromeo avesse inventato una malattia inesistente, il Morbo di K. per permettere un piano di soccorso degli ebrei. Questa esagerazione della storia sembrerebbe essere smentita sia da Ossicini che da Sacerdoti, pur entrambi riconoscendo l’umanità di Borromeo.