I Processi

L’idea di punire i criminali di guerra nazisti con un vero procedimento giudiziario iniziò a farsi strada nel settembre 1943, quando a Mosca si riunirono i ministri degli Esteri delle potenze in guerra contro la Germania. Da più parti, giuristi e intellettuali iniziarono a raccogliere prove e a elaborare categorie giuridiche di tipo nuovo, per far fronte all’impegno assunto. In URSS, scrittori ebrei come Il’ja Erenburg e Vasilij Grossman iniziarono a mettere insieme documenti e testimonianze relative allo sterminio degli ebrei attuato dai nazisti, con l’intenzione di pubblicare quello che sarebbe stato chiamato Il libro nero. Il testo, ormai completato, fu tuttavia requisito da Stalin e vide la luce solo negli anni Novanta, dopo il crollo del comunismo. Maggiore fortuna ebbe il giurista americano Raphael Lemkin che, fin dal 1944, fu uno dei primi a rendersi conto della novità dei crimini nazisti: a suo parere, essi erano così particolari, da richiedere una parola del tutto nuova. Lemkin, pertanto, coniò l’espressione genocidio, a cui diede il seguente significato: «distruzione di una nazione o di un gruppo etnico» nel suo complesso. Il genocidio, proseguiva Lemkin, «è diretto contro il gruppo nazionale in quanto entità, e le azioni che esso provoca sono condotte contro individui, non a causa delle loro qualità individuali, ma in quanto membri del gruppo nazionale».