Ghetto di Riga

Il Ghetto di Riga è stato uno dei più ampi tra i ghetti nazisti della seconda guerra mondiale nei territori conquistati in seguito all’invasione tedesca dell’Unione Sovietica. Istituito il 23 ottobre 1941, servì come luogo di raccolta temporanea per i 30.000 ebrei della città, che furono quasi tutti progressivamente massacrati nei mesi successivi. Il ghetto fu parzialmente ripopolato grazie all’arrivo tra il dicembre 1941 e il febbraio 1942, di circa 16.000 ebrei dalla Germania, Austria e dal Protettorato di Boemia e Moravia. Anch’essi subiranno lo stesso destino di distruzione, fino alla liquidazione finale del ghetto nel novembre 1943.

Fondata nel XIII secolo, Riga nel corso della sua storia fu sotto il controllo tedesco, polacco, svedese e russo. Dal 1918 al 1940 fu la capitale dell’indipendente Lettonia.

Nel 1935 la popolazione ebraica di Riga era di 43.000 residenti, circa la metà del numero totale di ebrei in Lettonia e l’10% della popolazione totale. La città era dal XVIII secolo dei centri più vitali della presenza ebraica nell’Est europeo.

Nel 1940, in seguito al Patto Molotov-Ribbentrop, Riga fu annessa all’Unione Sovietica con il resto della Lettonia e divenne la capitale della Repubblica socialista sovietica lettone.

Il 1º luglio 1941, nove giorni dopo l’inizio dell’invasione tedesca dell’Unione Sovietica, le truppe naziste giunsero a Riga. Diverse migliaia di ebrei – tra cui i soldati che prestavano servizio nell’Armata Rossa – riuscirono ad uscire dalla città, ma la maggior parte della popolazione ebraica locale, inclusi numerosi rifugiati, vi rimase intrappolata.

Le violenze e le uccisioni cominciarono immediatamente. Migliaia di maschi ebrei furono rastrellati, imprigionati e uccisi nella vicina foresta di Bikernek. Il 4 luglio la Sinagoga grande corale di Riga, una delle più belle della regione, fu data alle fiamme. Testimonianze oculari raccontano che nell’incendio della sinagoga perirono anche numerosi ebrei che vi erano stati rinchiusi, anche se il numero delle vittime (forse 300) e le circostanze dell’eccidio restano difficili da determinare nel caos di quei giorni di pogrom che videro l’uccisione di almeno 6.000 ebrei ad opera dei nazisti e delle milizie fasciste lettoni. La sinagoga Peitav di Riga fu l’unica ad essere risparmiata dalle fiamme, a causa del rischio che l’incendio si propagassero agli edifici vicini ed è l’unica ancor oggi esistente a Riga.

Nelle settimane successive seguirono numerosi provvedimenti restrittive della libertà degli ebrei e confische delle loro proprietà.

Il 23 ottobre 1941 fu emanato un decreto che ordinava a tutti gli ebrei di trasferirsi entro due giorni nel ghetto, che era stato allestito in una piccola area nel quartiere di Mosca, un sobborgo a nord di Riga popolato da ebrei e poveri russi. Tutte le proprietà ebraiche al di fuori del ghetto furono confiscate. Nel momento in cui il ghetto venne sigillato, il 25 ottobre 1942, vi furono concentrati 29.602 ebrei (15.738 donne, 8.212 uomini e 5.652 bambini). Altri continuarono a giungervi dai villaggi vicini.

Un’alta recinzione fu eretta intorno al ghetto, guardie lettoni ne sorvegliavano il perimetro e le entrate. Il ghetto copriva un’area di soli 96.875 metri quadrati ed era estremamente congestionato, la maggior parte delle case erano fatiscenti e le condizioni igieniche e idriche erano del tutto inadeguate. Migliaia di abitanti del ghetto furono sottoposti a lavoro coatto, a sostegno delle attività belliche della Germania, inclusa la costruzione del vicino campo di concentramento di Salaspils.

Un consiglio ebraico (Judenrat) fu nominato, presieduto da Michael Elyashov, con un reparto di polizia ebraica comandato da Michael Rosenthal. Il consiglio doveva far rispettare gli ordini delle autorità naziste ma si sforzò anche di migliorare le condizioni di vita nel ghetto, istituendo un ospedale, una clinica medica e una farmacia, una casa per anziani, una lavanderia, un’officina per le scarpe e una varietà di altri servizi in cui le persone disoccupate potessero essere messe al lavoro.

Già nell’ottobre 1941, Heinrich Himmler ordinò la liquidazione del ghetto. Il 19 novembre 1941, coloro che erano impiegati come lavoratori, furono separati dai “non-abili”, spostandoli in un’area del ghetto detta “piccolo ghetto. Nelle settimane successive, il 30 novembre e l’8-9 dicembre 1941, gli abitanti del ghetto grande furono trasportati a gruppi nella foresta di Rumbula e lì uccisi. Il totale delle vittime è stimato tra le 24.000 e le 27.800 persone, incluso un trasporto di 1000 ebrei giunto in quei giorni dalla Germania e quanti furono uccisi in quei giorni nel ghetto stesso durante i rastrellamenti. Dell’originaria popolazione del ghetto rimasero solo 4.500 uomini e 300 donne.

L’area del ghetto grande non fu tuttavia abbandonata ma ripopolata con il trasferimento, tra il 13 dicembre 1941 e il febbraio 1942, di circa 16.000 ebrei dalla Germania, Austria e dal Protettorato di Boemia e Moravia, a formare quello che comincio’ ad essere conosciuta come il “ghetto tedesco”. Il ghetto tedesco ebbe una propria autonoma organizzazione ed almeno per qualche tempo i suoi abitanti cercarono di dare alla loro vita una parvenza di normalità. Furono create delle scuole per bambini tra i 5 e i 14 anni, e si organizzarono persino eventi culturali, concerti e spettacoli.

L’apparente normalità della vita nel ghetto tedesco non significò alcuna interruzione nei programmi di sterminio nazista. Il 16 e il 25 marzo 1942, un totale di 3800 ebrei tedeschi, in maggioranza bambini, anziani e malati, furono uccisi in quella che fu chiamata la “Dünamünde Action”, con la scusa che essi sarebbero stati rilocati in un luogo migliore.

Nel frattempo nuovi arrivi giunsero anche nel piccolo ghetto dal ghetto di Kovno: 380 ebrei l’8 febbraio 1942, ed altri 300 il 24 ottobre.

In seguito alla scoperta il 28 ottobre 1942 di un piccolo gruppo di partigiani attivo al di fuori del ghetto, tre giorni dopo il 31 ottobre i tedeschi uccisero per rappresaglia un centinaio di ebrei del ghetto piccolo e quasi tutti i membri della polizia ebraica lettone per timore di collusione con la Resistenza.[6] Il giorno successivo (1 novembre 1942) il ghetto piccolo fu smantellato e la sua popolazione fu unita a quella del ghetto grande, pur mantenendosi la separazione tra ebrei lettoni e ebrei tedeschi.

Ogni residua illusione di salvezza venne gradualmente a cadere. Dall’estate del 1943 cominciò la liquidazione anche del ghetto tedesco con il progressivo trasferimento delle persone “abili” nei campi di concentramento della regione. Il processo si concluse il 2 novembre 1943 con la deportazione ad Auschwitz degli ultimi residenti non abili, circa 2000 anziani, bambini e malati. Entro la fine di novembre terminò anche il lavoro delle squadre addette alla ripulitura del ghetto.

Quando le truppe sovietiche liberarono Riga il 13 ottobre 1944, vi trovarono solo circa 150 ebrei (inclusi alcuni bambini), i quali si erano salvati a livello individuale, contando sull’appoggio di amici non-ebrei.