Lettonia

Il 23 agosto del 1939, ad una settimana esatta dallo scoppio della Seconda guerra mondiale, l’Unione Sovietica e la Germania nazista firmarono il Patto Molotov-Ribbentrop che garantiva alla prima libertà d’azione sui paesi baltici (Lettonia, Estonia, Lituania e Finlandia) oltre alla parte orientale della Polonia, mentre ai tedeschi garantiva il non-intervento russo nel conflitto imminente. La prospettiva lettone di una invasione russa si fece dunque sempre più forte e così i tre paesi baltici interessati, firmarono un accordo di reciproco aiuto in caso di invasione.
Ma mentre i tedeschi entravano a Parigi (10 maggio 1940), il ministro degli esteri sovietico Molotov accusò i paesi baltici di cospirare contro l’Unione Sovietica. Il 16 giugno del 1940, l’URSS lanciò un ultimatum ai governi di Lettonia, Lituania ed Estonia, chiedendo lo stazionamento di truppe dell’Armata Rossa nel proprio territorio. La Lettonia si preparò a resistere, ma i Sovietici il giorno prima avevano già occupato prontamente la Lituania; consapevoli che il proprio esercito si trovava al confine orientale, mentre ora i russi premevano da nord, la Lettonia dovette accettare le condizioni dell’ultimatum. I Sovietici entrarono il giorno successivo (17 giugno). Un mese dopo si tennero i plebisciti per le annessioni, che furono confermate. Il 5 luglio del 1940, la Lettonia subì l’occupazione sovietica e divenne provincia sovietica. Nella primavera del 1941 cominciarono le prime deportazioni sovietiche di dissidenti. Il generale Ivan Serov, già Compagno Commissario della Pubblica Sicurezza dell’Unione Sovietica, firmò il cosiddetto Ordine No. 001223 “Riguardante la Procedura per la cattura e la deportazione di elementi anti-sovietici dal Lituania, Lettonia ed Estonia.” Nella notte tra il 13 ed il 14 giugno 1941, 15 424 persone furono catturate (tra cui 1 771 Ebrei e 742 lettoni di etnia russa) e deportate nei gulag in Siberia; alla fine del primo anno di governo russo, si superarono le 35 000 deportazioni nella sola Lettonia, 131.500 se si contano quelle in Lituania ed Estonia. L’invasione nazista, iniziata una settimana dopo, pose un freno a queste misure.
Le truppe naziste entrarono a Riga il primo di luglio del 1941; dopo l’instaurazione dell’autorità tedesca, iniziarono i nuovi massacri, stavolta in pieno territorio lettone: Ebrei e Rom furono uccisi in massicce quantità, soprattutto a Rumbula. Questi massacri videro la partecipazione anche di diversi collaborazionisti lettoni, che formarono addirittura un’unità vera e propria, il famigerato Commando Arājs, che da solo si rese responsabile della morte di oltre 26.000 Ebrei, e di oltre 2.000 membri dei partiti di sinistra. Alla fine del 1941, la popolazione ebraica lettone era completamente scomparsa dal territorio.
Nonostante la repressione totale nazista, anche in Lettonia nacque la Resistenza, divisa in due schieramenti: il Comitato Centrale Lettone, che sperava in una nuova indipendenza sia dai tedeschi che dai russi, e dal Movimento Partigiano Lettone, che sosteneva invece l’unione con l’U.R.S.S..
Tra il 1943 ed il 1944, fu formata la Legione Lettone delle S.S. Combattenti, composta da volontari nazionali intenzionati a combattere al fianco della Germania nazista contro l’Armata Rossa. Nel 1944, quando i Russi ormai erano rilanciati nella loro Grande Guerra Patriottica, come sarebbe stata ricordata, tutto lasciava intendere il loro ritorno in Lettonia, che puntualmente avvenne. Anzi, si capì subito che i Russi avevano sì liberato la provincia, ma non vi avevano rinunciato. La Lettonia così, tornò ad essere provincia sovietica anche dopo la guerra.