Adolf Eichmann

Otto Adolf Eichmann (Solingen, 19 marzo 1906 – Ramla, 1º giugno 1962) è stato un militare, funzionario e criminale di guerra tedesco considerato uno dei maggiori responsabili operativi dello sterminio degli ebrei nella Germania nazista.
Col grado di SS-Obersturmbannführer era responsabile di una sezione del RSHA; esperto di questioni ebraiche, perseguendo la cosiddetta soluzione finale organizzò il traffico ferroviario per il trasporto degli ebrei ai vari campi di concentramento. Sfuggito al processo di Norimberga, si rifugiò in Argentina, dove venne individuato e rapito dal Mossad per essere processato in Israele e condannato a morte per genocidio e crimini contro l’umanità.
Otto Adolf Eichmann nacque nel 1906 a Solingen, nella Germania settentrionale, figlio di Adolf Karl Eichmann e Maria Schefferling. Nel 1914, dopo la morte della madre, la famiglia si trasferì a Linz, in Austria. Durante il primo conflitto mondiale il padre di Eichmann servì nell’esercito austro-ungarico e al congedo tornò ai propri affari a Linz.
Eichmann abbandonò prima del diploma la scuola superiore (Realschule) e cominciò un corso per meccanico, ma nel 1923 abbandonò anche questo per lavorare presso l’azienda paterna di estrazione mineraria. Tra il 1925 e il 1927 Eichmann trovò impiego come agente commerciale presso l’Oberösterreichische Elektrobau AG. Passato, quale agente distrettuale, alla Vacuum Oil Company AG, una sussidiaria della Standard Oil, rientrò in Germania nel luglio 1933.
Eichmann, che non aveva mai mostrato particolare interesse per la politica, cominciò invece a partecipare a manifestazioni e raduni di partiti politici che in quegli anni si svolgevano numerosi sia in Germania sia in Austria, e, durante una manifestazione del NSDAP, incontrò un vecchio amico di famiglia, Ernst Kaltenbrunner, entrando così a far parte delle SS alle sue dirette dipendenze.
La grande svolta nella vita e carriera di Eichmann fu probabilmente rappresentata dalla lettura del libro Lo Stato ebraico di Theodor Herzl, il fondatore del movimento sionista.
Affascinato dalla conoscenza del nemico, Eichmann intuì che una reale possibilità di fare carriera all’interno delle SS consistesse proprio nel presentarsi come esperto di ebraismo e sionismo e a tal fine nel 1937 si recò in Palestina (all’epoca Mandato britannico) dove, sotto copertura, visitò Haifa e diversi kibbutz, prima di essere scoperto dai britannici ed espulso.
La grande occasione per Eichmann di distinguersi agli occhi dei capi delle SS e dei pezzi grossi del partito nazista arrivò nel 1938, quando, in seguito all’Anschluss, si ritenne necessario espellere gli ebrei austriaci dal territorio appena annesso al Reich. Si insediò a Vienna, nell’ex palazzo del barone ebreo Philip de Rothschild, costituendo nell’ambito dell’SD (Sicherheitsdienst, Servizio di sicurezza), il servizio di sicurezza del Reich in capo alle SS, un’apposita agenzia denominata Zentralstelle für jüdische Auswanderung (Ufficio centrale per l’emigrazione ebraica), deputata all’emigrazione forzata del maggior numero possibile di ebrei austriaci, sistematicamente spogliati di ogni avere e costretti ad abbandonare precipitosamente il paese per salvarsi. In merito all’evacuazione di Vienna Eichmann rivendicò con orgoglio la propria impresa, dicendo di avere fatto trottare i signorini, cacciandone oltre 50.000 dall’Austria.
Benjamin Murmelstein, nell’intervista a Lanzmann dichiarò che da quando nell’estate del 1938 conobbe Eichmann, ebbe chiaro che all’ufficiale delle SS premeva la “cancellazione dei Giudei” dal Reich e con lui dovette giocare d’astuzia, anche quando, in qualità di rabbino, fu poi l’ultimo decano ebreo del lager di Teresienstadt. Fu in questo modo che Eichmann, promosso intanto a ufficiale delle SS, divenne l’esperto degli spostamenti di massa degli ebrei e questo talento per l’organizzazione logistica lo portò a ricoprire un ruolo estremamente importante nell’evoluzione degli eventi che portarono al genocidio. Il successo logistico di Eichmann fu talmente apprezzato che il capo dello SD, Reinhard Heydrich, costituì un nuovo Ufficio centrale del Reich per l’emigrazione ebraica anche a Berlino perché provvedesse all’emigrazione forzata degli ebrei secondo il modello viennese.
Molti ebrei che lo conobbero riferirono inoltre del suo violento disgusto verso di loro, affermando che girava armato di frustino, e percorreva molto velocemente gli uffici dove stavano gli ebrei in attesa del visto per l’espatrio (prima della decisione dello sterminio), poiché non voleva respirare a lungo “l’aria contaminata” dagli ebrei.
Eichmann, diventato così il braccio destro dello specialista degli affari ebraici Heydrich, nel 1939 fu mandato a Praga per provvedere alla emigrazione forzata degli ebrei dalla Cecoslovacchia, appena conquistata da Hitler. Qui le cose non furono così facili come a Vienna, perché Eichmann non poté contare sulla acquiescenza delle sue vittime, consce che ormai erano pochissimi i paesi disposti ad accogliere ebrei in fuga dall’Europa, quindi si rese necessario ammassare la popolazione giudea nei ghetti, dove fu decimata da fame, malattie e freddo.
Il riempimento dei ghetti fu l’anticamera dei campi di concentramento e, per Eichmann, il banco di prova per le deportazioni di massa verso i lager: nel gennaio del 1942, con la Conferenza di Wannsee, i vertici nazisti decisero di procedere alla soluzione finale, e, dal marzo 1942, quando i carichi di deportati cominciarono a confluire verso i campi di concentramento di tutta Europa, Eichmann fu il coordinatore e il responsabile della macchina delle deportazioni, colui che materialmente provvedeva a organizzare i convogli ferroviari che trasportavano i deportati verso Auschwitz.
Eichmann fu dunque fino alla fine della guerra uno dei principali esecutori materiali della Shoah, dirigendo personalmente le deportazioni degli ebrei ungheresi sino alla fine del 1944. Fu il padrone della vita e della morte di centinaia di migliaia di persone, ma non divenne mai membro dell’élite nazista e non ebbe mai, con suo grande rammarico, alcun peso in decisioni strategiche della politica o della guerra nazista, restando un efficiente ma oscuro burocrate, poco apprezzato anche dai suoi superiori e dai suoi commilitoni, che gli rimproveravano l’inclinazione all’alcol.
Tuttavia la scarsa notorietà gli permise, a fine conflitto, di far perdere le proprie tracce e rimanere nascosto cinque anni nelle campagne tedesche, per poi trovare rifugio in Argentina, come molti altri nazisti.
Eichmann, come altri fuoriusciti nazisti (ad esempio Mengele, il “dottor morte”), nel giugno 1948 venne munito di documenti di identità falsi dal vicario di Bressanone, Alois Pompanin a nome Riccardo Klement, rilasciati dal comune altoatesino di Termeno, attestanti l’esservi nato. Nel 2007 è stato ritrovato, tra i documenti coperti dal segreto di stato in Argentina, il passaporto falso con il quale Eichmann lasciò poi l’Italia nel 1950: era pure esso intestato a Riccardo Klement, altoatesino, e rilasciato dalla Croce Rossa di Ginevra (dottore Leo Biaggi de Blasys) in base alla testimonianza del padre francescano Edoardo Domoter.
Adolf Eichmann salpò alla volta del Sud America con la speranza di lasciarsi il passato alle spalle, ma con il sogno di poter fare un giorno ritorno in Germania. Le cose non andarono però come sperava e quello che sarebbe successo dieci anni dopo era imprevedibile.
A Buenos Aires, ove la famiglia di Eichmann s’era insediata, il figlio frequentava una ragazza tedesca, a cui si era presentato col suo vero cognome e con cui si lasciò andare ad affermazioni compromettenti sul mancato genocidio. Nessuno dei due ragazzi conosceva a fondo la storia delle rispettive famiglie. La ragazza informò la famiglia: il padre, Lothar Hermann, ebreo sfuggito all’olocausto, ma rimasto cieco per le percosse, collegando il cognome Eichmann a quello del criminale nazista ricercato in tutto il mondo, informò il procuratore tedesco Fritz Bauer che passò l’informazione al Mossad, il servizio segreto israeliano che appurò la sua presenza nella capitale argentina. Nel 1960, non essendo prevista l’estradizione nel sistema giuridico argentino, dopo un lungo periodo di preparazione il Mossad organizzò il rapimento di Eichmann affinché venisse processato in Israele per i crimini commessi durante la guerra.
Al momento del rapimento, un gruppo operativo lo stava aspettando a pochi metri dalla sua residenza e lo abbordò con la scusa di un problema meccanico della propria auto. Al sentire la frase “Un momento, signore”, Eichmann, consapevole d’essere ricercato, capì d’esser nei guai, ma nonostante la sua resistenza fu caricato sull’auto, drogato e portato in un luogo segreto, in attesa del successivo trasferimento.
Il processo Eichmann del 1961, a quindici anni da quello di Norimberga, fu il primo processo a un criminale nazista tenutosi in Israele. L’arrivo di Eichmann in Israele fu accolto da una fortissima ondata di esultanza mista a odio verso quello che si era impresso nell’immaginario dei sopravvissuti ai lager come uno dei maggiori responsabili della sorte degli Ebrei. Tuttavia Eichmann offrì di sé stesso un’immagine poco appariscente, quasi sommessa, ben diversa da quella di inflessibile esecutore degli ordini del Führer; negò di odiare gli ebrei e riconobbe soltanto la responsabilità di avere eseguito ordini come qualunque soldato avrebbe dovuto fare durante una guerra. Hannah Arendt lo descrisse, con una frase poi passata alla storia, come l’incarnazione dell’assoluta banalità del male.
La linea difensiva fu impostata nel dipingere l’imputato Eichmann quale impotente burocrate, mero esecutore di ordini inappellabili, negando quindi ogni diretta responsabilità; egli d’altro canto non mostrò nessun segno di sincero rimorso e di critica verso l’ideologia razzista del terzo Reich e le sue concrete e criminali applicazioni. Per giunta talvolta trasparì nel suo atteggiamento un certo disprezzo e sufficienza verso i numerosi sopravvissuti chiamati a deporre contro la cui testimonianza condusse il giudice militare a pronunciare la definitiva sentenza di morte per aver spietatamente perseguito lo sterminio degli ebrei.
Prima dell’esecuzione furono presentate diverse richieste di grazia (in prima persona da Eichmann, dalla moglie e da alcuni parenti di Linz) tutte respinte dall’allora presidente d’Israele, Yitzhak Ben-Zvi.
Adolf Eichmann fu impiccato in una prigione a Ramla pochi minuti prima della mezzanotte di giovedì 31 maggio 1962.
Questa è rimasta l’unica esecuzione capitale di un civile eseguita in Israele, che ha una politica generale di non impiego della pena di morte.
Pare che Eichmann rifiutò l’ultimo pasto preferendo invece una bottiglia di Carmel, vino rosso secco israeliano. Ne consumò mezza bottiglia.
Come da prassi, furono due le persone che tirarono contemporaneamente le leve della corda, affinché nessuno sapesse con certezza per quale mano il condannato era morto.
Esiste una disputa sulle ultime parole pronunciate da Eichmann. Secondo una versione furono «Lunga vita alla Germania. Lunga vita all’Austria. Lunga vita all’Argentina. Questi sono i paesi con i quali sono stato associato e io non li dimenticherò mai. Io dovevo rispettare le regole della guerra e la mia bandiera. Sono pronto». Secondo un’altra versione avrebbe detto ai carcerieri: «Ci rivedremo presto». Secondo una terza variante Eichmann si sarebbe invece rivolto, poco prima, a una guardia, l’ufficiale del Mossad e in seguito uomo politico Rafi Eitan, dicendo: «Spero che tutti voi mi seguiate presto».
Come da verdetto il cadavere fu cremato e le sue ceneri vennero caricate su una motovedetta della marina israeliana e disperse nel Mar Mediterraneo al di fuori delle acque territoriali israeliane. Il secchio che le trasportò venne molto accuratamente risciacquato con acqua di mare perché niente di lui ritornasse a terra. Dopo quasi cinquant’anni, il racconto degli ultimi mesi e dell’esecuzione è stato fatto da uno dei suoi due boia, Shalom Nagar, una guardia israeliana d’origine yemenita oggi titolare di una macelleria kosher che ha accettato di raccontarsi nel film-documentario The Hangman.
Eichmann è stato spesso considerato, anche per sua esplicita dichiarazione, un “grigio burocrate che eseguiva solamente gli ordini dei gerarchi importanti” (quali Himmler o Kaltenbrunner o Heydrich, o lo stesso Hitler), e così è descritto anche da Hannah Arendt. Secondo vari altri autori, quali la scrittrice Bettina Stangneth e lo scrittore e regista ex maquisard francese Claude Lanzmann nel libro intervista “L’ultimo degli ingiusti”, Eichmann invece non era affatto un mero e fanatico esecutore, e nemmeno un semplice meticoloso burocrate ma un uomo spietato. In particolare la Stangneth racconta che lui e una sua guardia avrebbero persino sequestrato un ragazzino ebreo, colpevole di aver rubato delle ciliegie del suo giardino della casa di Budapest, e in seguito la guardia l’avrebbe picchiato a morte, con Eichmann presente. Il testimone Avraham Gordon (confermato da Leopold Asher e altri) riferì al processo che
Nella pubblicazione Eichmann Interrogated, con cui nel 1983 furono rese note selezioni dall’interrogatorio istruttorio svolto in Israele per 275 ore prima del suo processo, emergono alcune delle contestazioni cui la posizione riduttiva dell’imputato fu confutata. All’ufficiale che conduceva l’interrogatorio, Avner W. Less, Eichmann replicava di non aver mai deciso alcun destino individuale; l’accusatore allora gli contestò la lettera del 2 dicembre 1942 in cui respinse la richiesta di rimpatrio da Auschwitz del pluridecorato ebreo francese Roger Masse, avanzata per il tramite del ministero degli esteri dal regime di Vichy, ed Eichmann non poté far altro che qualificarla “una normale comunicazione di routine, redatta da un impiegato”.