Robert Brasillach

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Robert Brasillach (Perpignano, 31 marzo 1909 – Arcueil, 6 febbraio 1945) è stato uno scrittore, giornalista, poeta e critico cinematografico francese, principalmente noto per essere stato il caporedattore del settimanale Je suis partout. Dopo la liberazione di Parigi nel 1944, accusato di collaborazionismo con il Terzo Reich, fu condannato a morte e giustiziato dopo il rifiuto di De Gaulle di concedergli la grazia. La sentenza rimane un caso controverso nella storia giuridica francese, perché basata su “crimini intellettuali” piuttosto che su azioni militari o politiche.
Nato da genitori di origine catalana, Brasillach rimase ben presto orfano di padre, ufficiale dell’Armata coloniale francese, ucciso in Marocco nel 1914. Si trasferì con la madre e la sorella Suzanne prima a Sens dove frequentò il liceo, poi a Parigi per entrare al liceo Louis-le-Grand (suoi compagni furono: Jacques Talagrand conosciuto come Thierry Maulnier, Roger Vailland, Paul Nizan e Maurice Bardèche che diventerà suo cognato sposando la sorella Suzanne): questo periodo è a lungo descritto nei primi capitoli di Notre avant-guerre, libro di memorie scritto nel 1939-1940.
Nel 1928 approdò alla prestigiosa École normale supérieure. Si fece presto conoscere come critico cinematografico e letterario scrivendo per la Revue française, la Revue universelle e nel 1931 iniziò la collaborazione alla pagina letteraria dell’Action française e nello stesso anno pubblicò il suo primo saggio critico, Présence de Virgile e l’anno successivo Le Voleur d’étincelles, suo primo romanzo.
Brasillach era già considerato negli anni Trenta come uno dei più grandi talenti della Francia letteraria, apprezzato soprattutto per l’acutezza e la capacità di analisi espressa con eleganza nei contenuti e nella prosa. Le sue simpatie ideologiche lo avvicinarono all’Italia di Mussolini e alla Spagna dove si recherà diverse volte e da questi viaggi trarrà lo spunto per scrivere l’Histoire de la guerre d’Éspagne in collaborazione con Bardèche nel 1936. Fu presente al congresso di Norimberga del 1937 di cui riferirà in Cent heures chez Hitler.
Dal 1931 alla guerra collaborò con l’Action française, il celebre quotidiano di Charles Maurras, salvo prenderne le distanze nel momento in cui le loro strade differirono: Maurras si spostò a metà del decennio verso una maggiore diffidenza nei confronti dei tedeschi mentre Brasillach uscì dallo scetticismo antigermanico per abbracciare in modo più diretto le politiche fasciste e naziste. Questa adesione rimase tuttavia su un piano ideale più che concreto, sul piano di un giovane anti-borghese e anticonformista che vedeva nel fascismo «la poesia stessa del secolo XX». Scrisse quindi anche altri romanzi, tra cui i più celebri sono Les sept couleurs, La Conquérante e Six heures à perdre. Tra i saggi va ricordato anche quello sul belga Léon Degrelle, che fu alla guida del movimento rexista.
Il 6 febbraio 1934 Brasillach si recò al teatro per assistere ad un’opera del celebre attore Louis Jouvet, ma lo stesso giorno vi fu una sommossa di piazza guidata dall’estrema destra che, duramente repressa dalle forze dell’ordine, vide cadere sedici manifestanti. Brasillach rimase molto colpito dall’evento e lo citò nella sua ultima poesia quando già si trovava incarcerato a Fresnes nel 1945.
Nel novembre 1931 iniziò la sua collaborazione con il settimanale Je suis partout, di cui nel 1937 divenne redattore capo, incarico che mantenne quasi ininterrottamente fino al 7 giugno 1940 quando fu richiamato alle armi e la rivista sospese le pubblicazioni. Scoppiata la seconda guerra mondiale, nel corso della Campagna di Francia nella primavera del 1940 Brasillach cadde prigioniero dei tedeschi e fu internato in un campo di concentramento. Dalla prigionia Brasillach non interruppe la propria collaborazione con il settimanale cui continuò a inviare articoli in sostegno della politica di collaborazionismo nel frattempo inaugurata dal maresciallo Philippe Pétain.
Proprio gli articoli inviati durante la prigionia costituirono durante il processo uno dei più importanti capi d’accusa. Sostenitore del Fascismo e del Nazionalsocialismo già prima della guerra, dopo la liberazione dalla prigionia nel 1941 divenne un fautore della più completa cooperazione con l’occupante tedesco al fine di creare un unico partito fascista francese da Brasillach definito come “fascismo immenso e rosso”. Rapidamente ricostituito il gruppo originale Je suis partout riprese le pubblicazioni il 7 febbraio 1941: secondo i redattori della rivista la Francia non si sarebbe dovuta limitare ad un armistizio con i tedeschi ma sarebbe dovuta entrare in guerra al loro fianco.
La linea collaborazionista della rivista comportò anche l’adesione alle politiche antisemite del Terzo Reich su Je suis partout. In riferimento al decreto Marchandeau che proteggeva le minoranze etniche, con particolare riferimento alla minoranza ebraica, Brasillach scrisse:
La collaborazione di Je suis partout con i tedeschi occupanti si realizzò anche nella pratica e non solamente nella teoria: la rivista, di cui Brasillach era caporedattore, pubblicava infatti (con palesi finalità delatorie) i dati segnaletici e i recapiti di ebrei, di esponenti della Resistenza e di oppositori politici, in modo da permetterne la cattura da parte dei nazisti.
Brasillach secondo da sinistra con gli occhiali insieme a Fernand de Brinon nel 1943 davanti alla sepoltura delle vittime del massacro di Katyn
Nel 1943 Brasillach, in qualità di giornalista, su invito di Fernand de Brinon intraprese un viaggio sul Fronte orientale per visitare i volontari francesi della Légion des Volontaires Français. Per l’occasione, insieme al giornalista Claude Jeantet chiese di potersi recare anche a Katyn’ dove la Wehrmacht aveva appena rinvenuto le vittime polacche di un eccidio compiuto dai sovietici. Brasillach rientrò in Francia il 30 giugno e dalla sua esperienza in Russia e a Katyn scaturirono alcuni dei suoi ultimi articoli per Je suis partout.
Nel 1943 fu sopravanzato da Pierre-Antoine Cousteau, un collaboratore e militante, alla testa del settimanale E decise di lasciare la rivista e il 27 agosto 1943 pubblicò il suo ultimo articolo come caporedattore. Convinto della giustezza delle sue idee, Brasillach fu paradossalmente allontanato a causa della sua linea: fascista convinto, rivendicava la nascita di un fascismo francese che fosse alleato col nazionalsocialismo tedesco e non un semplice clone, pur favorevole alla vittoria del Terzo Reich, la giudicava sempre meno probabile e rifiutava di annunciarla pubblicamente come certa.
Dopo lo sbarco in Normandia Brasillach si rifiutò di fuggire all’estero, nascondendosi nel Quartiere latino a Parigi. Il 14 settembre 1944, dopo che era stata arrestata sua madre con l’accusa di collaborazionismo, si costituì alla Prefettura di polizia di Parigi, consegnandosi alle autorità per salvare l’anziana donna. Intanto il nuovo governo francese guidato dal generale De Gaulle iniziò i procedimenti contro i rappresentanti del governo di Vichy e dei collaborazionisti. La prima condanna fu pronunciata in ottobre contro l’editore della rivista antisemita Aujourd’hui Georges Suarez ed eseguita il 9 novembre del 1944. Sempre nel 1944 ebbe luogo il processo contro il direttore politico (1928-1943) della rivista antisemita Gringoire, Henri Béraud.
Brasillach fu incarcerato nella prigione di Fresnes (attuale Val-de-Marne). In questo periodo preparò dettagliatamente la propria autodifesa che fu raccolta in un Memorandum. L’accusa che riguardava Brasillach era quella di “intelligenza col nemico” mossa sulla base dell’art. 75 del Codice penale francese di allora, utilizzato dal governo presieduto da De Gaulle per avviare l’epurazione dei collaborazionisti in Francia in riferimento alla sua attività delatoria svolta sulle pagine di “Je suis partout”. Nel suo Memorandum Brasillach cercò di immaginare quali avrebbero potuto essere le domande alle quali avrebbe dovuto rispondere nel corso del processo ma senza nutrire alcuna speranza sulla sentenza convinto che questa fosse già scritta. Durante la prigionia a Fresnes Brasillach si dedicò anche alla poesia, forse ispirato dall’esempio di altri letterati anch’essi imprigionati come Villon e Chénier, e a quest’ultimo dedicò il suo “André Chénier”.
Il processo davanti alla corte di assise della Senna cominciò il 19 gennaio 1945 alle ore 13.00 concludendosi alle 19.00 dello stesso giorno. Brasillach davanti alle domande dell’accusa si dimostrò un buon oratore rivendicando con orgoglio le proprie scelte. L’accusa guidata dal pubblico ministero Reboul puntò a dimostrare che Brasillach, data la cultura e le grandi qualità letterarie aveva scientemente posto le proprie capacità al servizio dell’occupante mentre la difesa di Jacques Isorni che qualche mese più tardi fu anche l’avvocato difensore del maresciallo Pétain pose l’accento sul patriottismo dell’imputato ribadendo che nella sua scelta a favore dell’occupante non aveva obbedito a un ordine ma aveva seguito le proprie convinzioni. La giuria emise la sentenza di condanna a morte dopo una deliberazione di venti minuti. Alla lettura della sentenza una voce dal pubblico urlò indignata: “È una vergogna!”; calmissimo, Brasillach ribatté: “È un onore!”.
Secondo Alice Kaplan almeno inizialmente il processo poteva anche finire senza una condanna a morte ma contro lo scrittore giocò il proprio intendimento di non venire meno alle proprie idee e la inefficace difesa imbastita da Isorni che non riuscì ad adeguarsi efficacemente alla personalità dell’imputato trasformando così la sua arringa difensiva quasi in una dissertazione di critica letteraria. Anche secondo il critico Emanuele Trevi se Brasillach avesse ammesso le accuse mossegli forse si sarebbe salvato ma posto davanti ai suoi scritti si rifiutò di rinnegarli ritenendo che così avrebbe invece rinnegato sé stesso. Secondo il critico Massimo Raffaeli Isorni evitando di entrare nel merito delle accuse mosse all’imputato riuscì a presentare il suo assistito come un capro espiatorio accusato solamente per la colpa di essere fascista e riuscì a fondare la leggenda postuma di un Brasillach ucciso per le sue idee, pertanto Brasillach, durante il dibattimento, aderì alla linea difensiva concordata con Isorni e si comportò complessivamente in modo dignitoso. Per lo scrittore Moreno Marchi la sentenza in realtà era già stata decisa e lo stesso Brasillach non si illudeva sulle possibilità di salvarsi soprattutto dopo le virulente proteste seguite alla commutazione in ergastolo della pena di morte inizialmente inflitta a Henri Béraud.
La condanna esemplare provocò la reazione di molti intellettuali di cui anche alcuni ex resistenti, che in essa videro un atto di ingiustizia che condannava a morte uno scrittore sulla base delle proprie opinioni espresse. Dalla parte di Brasillach si schierò tra gli altri anche François Mauriac, il principale artefice della grazia a Bèraud, che si impegnò per la salvezza dello scrittore con uguale forza. Brasillach, che aveva spesso pubblicato attacchi, talvolta anche violenti, contro Mauriac riconoscente lasciò scritto nelle sue disposizioni testamentarie il desiderio che ogni critica fosse espunta dalle sue ristampe future.
Nei giorni che seguirono, una petizione di famosi intellettuali tra cui François Mauriac, Paul Valéry, Paul Claudel, Daniel-Rops, Albert Camus, Marcel Aymé, Jean Paulhan, Roland Dorgelès, Jean Cocteau, Colette, Arthur Honegger, Maurice de Vlaminck, Jean Anouilh, Jean-Louis Barrault, Thierry Maulnier e tanti altri – sostenuta anche dagli studenti parigini e molti accademici – implorò al generale De Gaulle la grazia per il condannato a morte: il nuovo capo dello Stato respinse la domanda. Sembra in base ai documenti di De Gaulle depositati negli Archives nationales, vi fosse una nota relativa a “l’affare Brasillach” recante una lista delle accuse pendenti sullo scrittore. Tra di esse, quella di essere “uno dei responsabili dell’assassinio del ministro e deputato Mandel”, personalità di cui egli invocava la morte nel suo giornale Je suis partout (per contromisura all’uccisione di Philippe Henriot) e per cui de Gaulle provava stima e rispetto.
Il 5 febbraio, il giorno prima dell’esecuzione Brasillach scrisse l’ultima poesia in carcere dedicata ai manifestanti caduti durante la sommossa di undici anni prima: “Con undici anni di ritardo sarò dunque fra voi? Penso a voi, stasera, o morti di febbraio”. All’alba del 6 febbraio Brasillach fu fucilato al Forte di Montrouge (Arcueil). Un attimo prima di cadere a Forte di Montrouge sotto i colpi del plotone d’esecuzione aveva appena gridato “Vive la France!”. Venne sepolto nel cimitero di Charonne, nel XX arrondissement di Parigi.