Egitto

La seconda Guerra mondiale colse l’Egitto quando l’opinione pubblica che in un primo tempo, salvo i nazionalisti, aveva salutato con plauso il trattato anglo-egiziano del 1936, andava assumendo verso di esso un atteggiamento sempre più critico, sentendone gli oneri politici ed economici per l’Egitto non compensati da adeguati sostanziali vantaggi. Nondimeno, il governo di ‛Alī Māhir Pascià mantenne gli obblighi militari che derivavano all’Egitto dal trattato, ponendo a disposizione della Gran Eretagna il proprio territorio e le proprie vie di comunicazione, ma dichiarando, al tempo stesso, la volontà di mantenere il paese fuori del conflitto. La situazione si fece ancor più delicata all’entrata in guerra dell’Italia (giugno 1940), con la quale l’Egitto interruppe subito le relazioni, senza però mai venire, né allora né poi, a una dichiarazione di guerra. In quello stesso giugno, al gabinetto del rigido neutralista ‛Alī Māhir successe uno formato da Hasan Ṣabrī Pascià, alla cui morte, pochi mesi dopo, subentrò Ḥusein Sirrī Pascià, che tenne il potere dal novembre 1940 al febbraio 1942. Lo sforzo di questi uomini di governo, e della Corona dietro di essi, fu in questi anni di conciliare il mantenimento degli impegni assunti con l’alleanza britannica, e la conservazione del massimo possibile di indipendenza del paese, nella paradossale posizione di neutrale alleato di un belligerante, in una guerra combattuta sul suo suolo stesso.
La guerra oscillò per un biennio, con alterne vicende, alla frontiera occidentale d’Egitto: alla puntata italiana di Sīdī Barrānī (settembre 1940) rispose la prima offensiva di Wavell che portò gli inglesi sulla Sirte mentre, nella primavera del 1941, la controffensiva di Rommel riportava le linee quasi sull’antico confine. Alessandria era intanto più volte bombardata dall’aviazione italo-tedesca, suscitando le platoniche proteste del governo egiziano. All’interno, le manifestazioni esteriori della vita politica, sorvegliate e praticamente imbrigliate dall’autorità militare britannica, si mantenevano su una linea di fedeltà all’alleanza, e insieme alla neutralità del paese, pur trasparendo a tratti l’esistenza di forze, lavorate dalla propaganda dell’Asse che, da una sconfitta della Gran Bretagna, si ripromettevano la piena indipendenza. Col passar del tempo, l’invadenza britannica nella politica interna egiziana si fece sempre più sensibile e quando, nel febbraio del 1942, il gabinetto di Ḥusein Sirrī Pascià si dimise, per un dissidio con la Corona in occasione della rottura di relazioni con la Francia di Vichy, l’azione dell’ambasciatore inglese sir Miles Lampson fu decisiva per la soluzione della crisi. Sotto questa pressione, re Fārūq fu indotto a chiamare al governo an-Naḥḥās pascià, capo del Wafd che, da oltre quattro anni, era stato escluso dal potere. Così il partito, che un tempo era stato il più risoluto avversario del dominio britannico in Egitto, tornava a dirigerne ora le sorti, appoggiato, se non addirittura imposto dagli Inglesi stessi, nel duplice scopo di accontentare una larga parte dell’opinione pubblica egiziana tuttora filo-wafdista, e di avere al potere lo stesso governo e lo stesso uomo che aveva stipulato il discusso trattato del 1936.
Nell’estate del 1942, la situazione parve precipitare quando la seconda controffensiva di Rommel, ricacciata l’8ª armata dalla Cirenaica che aveva faticosamente rioccupata con l’offensiva del gen. Auchinlek, non si arrestava – come l’anno precedente – al confine ma si addentrava in territorio egiziano. Tra la fine di giugno e i primi di luglio, la caduta di Tobruch e di Marsa Maṭrūḥ portò le colonne avanzate italo-tedesche oltre la stretta di el-‛Alamein, sin quasi ai sobborghi di Alessandria mentre Germania ed Italia, in una dichiarazione ufficiale comune (4 luglio), affermavano l’intenzione di “rispettare ed assicurare l’indipendenza e la sovranità dell’Egitto”, dal cui suolo si accingevano a espellere gli Inglesi. Ma, dopo alcune settimane di panico, la situazione si stabilizzò, per capovolgersi pochi mesi dopo con la battaglia campale di el-‛Alamein (ottobre 1942), che spezzava il fronte delle truppe dell’Asse, e in pochi giorni le obbligava a sgombrare definitivamente il suolo egiziano.
L’ulteriore corso della guerra, allontanando sempre più il teatro delle operazioni dall’Egitto, diede, all’interno, il colpo di grazia alle correnti filotedesche, ma segnò insieme l’inizio d’una nuova fase della politica egiziana, volta a ottenere, nel quadro della profilantesi vittoria anglosassone, i maggiori vantaggi dell’atteggiamento – sino allora tenuto – di fedeltà agli obblighi assunti. Al ministero wafdista di Naḥḥās Pascià, revocato dal re nell’ottobre del 1944, successe un gabinetto presieduto dal leader sa‛dista Aḥmed Māhir, sostenuto da indipendenti e nazionalisti; sotto di esso l’Egitto divenne il centro propulsore e coordinatore del movimento per la creazione della Lega araba, che ebbe ad Alessandria (autunno 1944) una conferenza preparatoria e al Cairo, nel marzo 1945, la sua solenne costituzione. Poco dopo, proprio alla vigilia della vittoria alleata, l’Egitto compiva il formale atto di dichiarazione di guerra alla Germania, tenacemente sino allora evitato, e acquistava così il diritto a entrare come stato sovrano nell’appena costituita organizzazione delle Nazioni Unite. Il giorno stesso in cui la Camera votava tale risoluzione, un fanatico nazionalista uccideva il primo ministro Aḥmed Māhir (24 febbraio 1945) cui succedeva il ministro degli Esteri Noqrāshī Pascià.