Ghetto di Lodz

Il ghetto di Łódź, con oltre 200.000 abitanti, è stato per grandezza il secondo tra i ghetti nazisti istituiti dal Terzo Reich in Polonia, dopo quello di Varsavia. Situato nella città di Łódź ed inizialmente inteso come un campo solo temporaneo di raccolta per ebrei, il ghetto venne trasformato in un importante centro industriale a basso costo di manodopera per la Germania nazista ed in special modo per l’esercito tedesco. La popolazione del ghetto fu progressivamente ridotta dalle disumane condizioni di vita e di lavoro e dall’invio di decine e decine di migliaia di bambini e anziani nei campi di sterminio. A causa dell’elevata produttività il ghetto riuscì tuttavia a sopravvivere fino all’agosto 1944 quando la popolazione rimasta (72.000 persone) venne deportata e uccisa ad Auschwitz. Fu l’ultimo ghetto polacco ad essere liquidato. Solo poche migliaia furono i sopravvissuti.

A differenza di altri ghetti nazisti, esiste un’abbondante documentazione relativa al ghetto di Lodz, inclusa una cronaca dettagliata semi-ufficiale redatta giorno per giorno dal 12 gennaio 1941 al 30 luglio 1944 a cura del Consiglio ebraico del Ghetto, oltre a diari di testimoni come quello di Dawid Sierakowiak e a migliaia di fotografie scattate clandestinamente dai fotografi Henryk Ross e Mendel Grossman.

Le forze tedesche di occupazione entrarono a Łódź il 9 settembre 1939, festosamente accolte dalla popolazione di origine tedesca. La città contava allora 672.000 abitanti dei quali circa un terzo (223.000) erano ebrei. Łódź, rinominata Litzmannstadt, venne direttamente annessa al Reichsgau Wartheland entrando così a far parte della Grande Germania. Come parte del Reich la città sarebbe dovuta essere sottoposta ad un rapido processo di “arianizzazione”: la popolazione di origine ebraica doveva essere espulsa verso il Governatorato Generale mentre quella polacca doveva essere drasticamente ridotta e trasformata in manodopera schiava al servizio dell’industria tedesca.

Con l’arrivo delle truppe tedesche, più di 70.000 ebrei lasciarono Lodz per rifugiarsi in altre città o nei territori occupati dell’Unione Sovietica. Ne rimanevano comunque in città più di 150.000.

Le grandi sinagoghe monumentali della città furono le prime ad essere distrutte già nel novembre 1939. La prima menzione per la fondazione di un ghetto apparve in un ordine del nuovo governatore nazista Friedrich Übelhör datato 10 dicembre 1939 che parlava della creazione di una zona di raccolta temporanea per gli ebrei locali al fine di semplificare le operazioni di deportazione. Entro il 1º ottobre 1940 la deportazione avrebbe dovuto essere completata e la città avrebbe dovuto essere dichiarata Judenrein (libera da ebrei). (testo dell’ordine, in inglese). I progetti per una rapida degiudaizzazione della città si rivelarono però ben presto impraticabili, per i problemi pratici e logistici che la rilocazione di un numero così ampio di persone avrebbe comportato.

La fondazione del ghetto fu preceduta da una serie di misure anti-ebraiche (ed in parte anche anti-polacche), attraverso le quali gli ebrei vennero spogliati dei loro beni e obbligati ad indossare la stella di Davide su di un bracciale giallo che permetteva una loro semplice identificazione. Durante l’invasione molti ebrei, specialmente della classe politica ed intellettuale, erano fuggiti verso il Governatorato Generale o ancora più ad est, verso le zone della Polonia occupate dall’Unione Sovietica. L’8 febbraio 1940 fu dato ordine agli ebrei di risiedere solo in alcune specifiche vie nella città vecchia di Łódź e dell’adiacente quartiere di Baluty, aree che successivamente divennero i limiti del ghetto. Un pogrom istigato dalle forze di occupazione avvenuto il 1º marzo, durante il quale circa 350 ebrei vennero uccisi, velocizzò il reinsediamento nelle zone “concesse” nella speranza di un miglior trattamento. Nei due mesi successivi attorno al ghetto venne eretta una barriera di travi di legno e filo spinato in maniera da isolarlo completamente dal resto della città. Il 1º maggio 1940 gli ebrei vennero ufficialmente rinchiusi nel ghetto.

Secondo i dati ufficiali del censimento effettuato il 12 giugno 1940, il ghetto contava inizialmente 160.320 persone: ai 153.849 residenti a Lodz si erano aggiunti 6.471 ebrei dai villaggi della provincia.

Nei mesi e negli anni successivi la popolazione del ghetto crebbe ulteriormente in conseguenza dell’arrivo di circa altre 45.000 persone. Si trattava in primo luogo di 19.722 ebrei deportate tra il 17 ottobre e il 4 novembre 1941 dall’Europa centrale: da Germania, Austria, Lussemburgo, e dal Protettorato di Boemia e Moravia, principalmente dal campo di concentramento di Theresienstadt.

Tra il 5 e il 9 novembre 1941, arrivarono a Lodz 5.007 rom dal confine austro-ungherese, di cui 2.689 bambini. Ai rom fu riservata una speciale sezione all’interno del ghetto.

Tra il 7 dicembre 1941 e il 28 agosto 1942 giunsero altri 17.826 ebrei dai tanti piccoli ghetti della regione che furono progressivamente smantellati.

Infine, dal dicembre 1942 entro’ in funzione anche il campo di concentramento per bambini polacchi di Łódź (il cosiddetto Kinder-KZ Litzmannstadt o campo di via Przemysłowa) che raccolse bambini polacchi non-ebrei, tra gli 8 e i 16 anni, orfani o i cui genitori erano in prigione, oppure abbandonati, o arrestati per piccoli crimini. Vi transiteranno alcune migliaia di bambini.

Furono dunque oltre 200.000 le persone che risiedettero all’interno dei confini del ghetto di Lodz durante gli anni della sua esistenza.

Le condizioni di vita nel ghetto erano durissime. Per assicurarsi che non fosse possibile nessun contatto tra la popolazione ebrea e quella polacca i tedeschi adibirono al servizio di ronda attorno al ghetto due speciali unità di polizia. Ogni ebreo trovato all’esterno del ghetto poteva, per legge, essere ucciso a vista. Il 10 maggio 1940 vennero emanati ulteriori ordini tesi ad interrompere ogni forma di commercio tra ebrei e non-ebrei con severissime pene in caso di trasgressione.

Negli altri ghetti in Polonia un’economia sotterranea basata sul contrabbando di alimenti e merci ebbe modo di fiorire rendendo meno duro l’isolamento del ghetto con il mondo esterno; a Łódź, a causa dei severi controlli, questo fu virtualmente impossibile e gli ebrei dovettero basarsi per la loro sussistenza esclusivamente sulle autorità tedesche dalle quali dipendevano per cibo, medicine e per tutti i rifornimenti essenziali. Per inasprire ulteriormente la situazione l’unica moneta legale del ghetto era uno speciale “buono” per il ghetto e non aveva, quindi, corso legale nel resto della città. Trovandosi in condizioni disperate, gli ebrei affamati cambiarono i loro ultimi valori con questo “buono”, velocizzando così il processo di spoliazione totale dei loro beni.

Le malattie erano un altro grave problema con il quale gli abitanti del ghetto dovettero quotidianamente confrontarsi. I rifornimenti di medicinali erano ampiamente insufficienti ed il ghetto decisamente sovrappopolato. L’intera popolazione era racchiusa in una superficie di appena 4 chilometri quadrati di cui solo 2,4 di abitazioni e quindi abitabili. Inoltre le scorte di combustibile per riscaldamento erano minime e gli abitanti si videro costretti a bruciare di tutto per sopravvivere ai freddi inverni polacchi. Le statistiche ufficiali compilate dallo Judenrat sono impressionanti, mostrano che oltre 45.000 ebrei morirono di stenti nel ghetto (per fame, freddo, malattie, maltrattamenti ed esecuzioni sommarie): 8.475 nel 1940, 11.456 nel 1941, 18.046 nel 1942, 4.573 nel 1943, e 2.778 nel 1944. Ad essi si aggiungono 719 rom e 136 bambini polacchi, che perirono nei campi annessi al ghetto ebraico.

Per organizzare la popolazione locale fu stabilito anche all’interno del ghetto di Łódź un Judenrat (consiglio ebraico) e un reparto di polizia ebraica con il compito di eseguire gli ordini delle autorità tedesche e vigilare su eventuali fughe. Il Judenälteste, presidente del Judenrat, Mordechai Chaim Rumkowski è ancora oggi considerato una delle figure più controverse dell’Olocausto a causa del suo comportamento verso i suoi stessi correligionari. Soprannominato beffardamente “re Chaim” dagli ebrei, egli ottenne dalle autorità tedesche un potere mai concesso prima ad un ebreo. Le autorità lo autorizzarono a “prendere ogni necessaria misura” per mantenere l’ordine all’interno del ghetto.

Anche se formalmente subordinato all’ufficiale tedesco Hans Biebow, Rumkowski esercitò un assoluto potere dittatoriale all’interno del ghetto e lo trasformò in un enorme complesso industriale al servizio della Germania. Convinto che la produttività ebraica avrebbe salvato le loro vite impose alla popolazione 12 ore di lavoro giornaliero in terribili condizioni producendo divise, oggetti in legno, carpenteria e materiale elettrico per la Wehrmacht tedesca. Entro il 1943 oltre il 95% della popolazione adulta era impiegato all’interno di 117 laboratori ed industrie, che come si vantò Rumkowski con il sindaco di Łódź erano “una vera miniera d’oro”. In effetti a causa dell’estrema produttività il ghetto di Łódź sopravvisse più a lungo di ogni altro ghetto in Polonia.

Sotto il dominio di Rumkowski si stabilì un minimo di eguaglianza tra tutte le persone che risiedevano nel ghetto. Il cibo era distribuito in egual misura a tutti e, in maniera spesso sotterranea, proseguirono attività educative e culturali. Nonostante questo, le condizioni del ghetto rimasero molto dure e la popolazione era totalmente dipendente dalle autorità tedesche per i rifornimenti. L’insoddisfazione nei confronti di Rumkowski portò ad una serie di scioperi nelle fabbriche che venivano contrastati con l’intervento della polizia ebraica del ghetto, anche se in almeno un caso Rumkowski chiamò in aiuto la polizia tedesca. Gli scioperi venivano normalmente puniti con l’ulteriore riduzione delle razioni di cibo.

Il 20 dicembre 1941 le autorità tedesche ordinarono a Rumkowski di selezionare 20.000 abitanti per la deportazione scelti dallo Judenrat, attraverso una speciale commissione, tra i criminali, i “lavativi” e coloro che avevano lucrato sui nuovi arrivati del ghetto. La destinazione era per tutti il campo di sterminio di Chełmno, il primo ad essere creato nel contesto dell’Operazione Reinhard, dove i deportati furono uccisi con esalazioni di monossido di carbonio all’interno di speciali autocarri (le camere a gas non erano ancora state costruite). Il campo rom (i cui abitanti, decimati dalle malattie, si erano ridotti a circa 4.300 persone) fu il primo ad essere liquidato tra il 5 e il 12 gennaio 1942. Tra il 16 e il 19 gennaio 1942 fu la volta di un primo contingente di 10.003 ebrei. Altre massicce deportazioni seguirono nel febbraio-aprile 1942 (34.073 persone) e nel maggio dello stesso anno (10.914 persone). Tutti i deportati subirono la stessa sorte nel campo di sterminio di Chełmno.

Con l’estate era ormai noto agli ebrei di Lodz quale fosse in realtà la sorte dei deportati. Così, quando nel settembre le autorità tedesche chiesero un ulteriore invio di 15.000 persone non necessarie alla produzione, la notizia causò un comprensibile sgomento all’interno del ghetto. Si scatenò un acceso dibattito per decidere chi sarebbe dovuto partire; Rumkowski, dopo aver esaminato le diverse opzioni, rimase sempre più convinto che l’unica speranza di sopravvivenza fosse il mantenere un’elevata produttività per il Reich e di conseguenza, il 4 settembre 1942, indirizzò il seguente discorso agli abitanti del ghetto:

“Un atroce colpo si è abbattuto sul ghetto. Ci viene chiesto di consegnare quello che di più prezioso possediamo – gli anziani ed i bambini. Sono stato giudicato indegno di avere un figlio mio e per questo ho dedicato i migliori anni della mia vita ai bambini. Ho vissuto e respirato con i bambini e mai avrei immaginato che sarei stato obbligato a compiere questo sacrificio portandoli all’altare con le mie stesse mani. Nella mia vecchiaia, stendo le mie mani ed imploro: Fratelli e sorelle! Passatemeli! Padri e madri! Datemi i vostri figli!”

Malgrado l’orrore che questo intento provocò, 15.681 bambini (sotto i 10 anni) e anziani furono selezionati per la “deportazione” nella speranza che questo sacrificio sarebbe valso a salvare almeno parte degli ebrei rimasti. La decisione che dannò Rumkowski sui libri di storia, sembrò sul momento avere successo: le deportazioni cessarono dopo la consegna dei bambini e degli anziani e, agli inizi del 1944, il ghetto di Łódź, con i suoi 80.000 abitanti poteva considerarsi il più grosso concentramento di ebrei di tutta l’Europa orientale. In verità il ghetto venne trasformato in un immenso campo di lavoro dove la sopravvivenza dipendeva esclusivamente dalla capacità lavorativa. Scuole ed ospedali vennero chiusi e vennero aperte nuove fabbriche di armamenti.

Il destino finale del ghetto di Łódź venne discusso dai più alti gradi della gerarchia nazista fin dal 1943, e sfociò nel 1944 in un’aperta controversia che oppose Heinrich Himmler, comandante delle SS, al Ministro dell’economia bellica, Albert Speer. L’intenzione di Himmler era di liquidare il ghetto trasferendo i lavoratori ancora abili nei campi di lavoro dell’area di Lublino mentre Speer propendeva invece per il mantenimento del ghetto come fonte di produzione a basso costo, utile in un frangente che vedeva la Germania in difficoltà su tutti i fronti di guerra.

Nel maggio 1944, quando la vicinanza delle armate sovietiche faceva sperare in una rapida liberazione, Himmler dette l’ordine di procedere alla liquidazione totale della popolazione rimasta: tra il 23 giugno ed il 14 luglio 1944, 7.196 ebrei vennero deportati e uccisi nel campo di sterminio di Chełmno. L’intervento personale di Speer portò il 15 luglio alla sospensione temporanea delle operazioni di sterminio. Lo scoppio della rivolta di Varsavia il 1º agosto convinse tuttavia le autorità tedesche del pericolo di mantenere ancora in vita un ghetto così popoloso. Dal 9 agosto ripresero i trasporti, questa volta con destinazione Auschwitz, con i quali furono deportati gli ultimi 72.000 residenti del ghetto. Tra loro, 65.000-67.000 saranno quelli che troveranno morte immediata nelle camere a gas a Birkenau, incluso Rumkowski e la sua famiglia.

Quando il 29 agosto partì l’ultimo trasporto da Łódź, il ghetto poteva dirsi completamente liquidato. Tra gli ultimi treni ci furono anche alcuni soldati prigionieri di guerra Italiani catturati nella zona o insediati dopo l’8 settembre 1943. Gli ultimi treni non giunsero a destinazione perché fermati dall’Armata Rossa. Rimasero in città solo piccoli gruppi di lavoratori impiegati in attività produttive locali. Quando l’Armata Rossa giunse a Łódź il 19 gennaio 1945, vi trovò vivi soltanto 877 ebrei, tra cui 12 bambini, oltre a circa 900 bambini polacchi, il cui campo di prigionia era rimasto l’unico a non essere stato liquidato. Dei 223.000 ebrei che vivevano a Łódź prima della seconda guerra mondiale soltanto 10.000-15.000 sopravvissero all’Olocausto, o perché fuggiti prima dell’instaurazione del ghetto o sparsi nei vari campi dove erano stati trasferiti.

Se solo alcune migliaia riuscirono a salvarsi tra i 70.000 ebrei di Lodz che avevano lasciato la città prima dell’istituzione del ghetto, le percentuali di sopravvivenza tra le oltre 200.000 persone che vissero l’esperienza del ghetto furono ancora minori. In totale le vittime furono circa 190.000. Di queste, oltre 45.000 persone morirono di stenti nel ghetto. Quasi nessuno dei 78.000 ebrei e 4.300 rom deportati a Chelmno sopravvisse; forse 5.000-7.000 tra i 72.000 deportati ad Auschwitz. Meno di un migliaio furono i sopravvissuti a Lodz.