Storia della Shoah

STERMINIO DEGLI EBREI D’EUROPA

Lo storico statunitense di origine ebreo-austriaca Raul Hilberg ha evidenziato gli elementi di continuità presenti nella politica antisemita del regime nazista, riscontrando notevoli congruenze tra le misure antiebraiche di discriminazione e segregazione adottate nell’arco dei secoli dalla Chiesa cattolica (a partire dal IV secolo dopo Cristo) e dal potere secolare fin dal Medioevo e le norme legislative e burocratiche adottate in Germania dal 1933, dopo l’assunzione del potere da parte di Adolf Hitler. Accanto a questi elementi di continuità, Hilberg sottolinea gli aspetti di assoluta novità e di inaudita criminalità anti-ebraica caratterizzanti l’azione del regime nazista durante i suoi dodici anni di potere.

Lo storico Enzo Collotti ha analizzato i caratteri specifici della diffusione dell’antisemitismo in Europa dopo la prima guerra mondiale: in primo luogo l’autore interpreta il fenomeno dell’accentuarsi dell’ostilità verso gli ebrei in correlazione con i sentimenti di catastrofe di civiltà dopo la guerra mondiale e con la necessità di individuare facili obiettivi su cui far ricadere le responsabilità delle difficoltà esistenziali e materiali del dopoguerra. In secondo luogo l’antisemitismo si caratterizzò anche come reazione alla presunta “cospirazione giudeo-bolscevica” del comunismo sovietico che sembrava minacciare i valori della società tradizionale cristiana. Elemento che permise di cristallizzare i fermenti antisemiti fu la riscoperta e la divulgazione dei fittizi Protocolli dei savi di Sion che sembravano confermare la tesi del “complotto ebraico” contro la civiltà europea.

L’antisemitismo di Adolf Hitler venne esposto nel suo libro del 1925, Mein Kampf, che, inizialmente ignorato, divenne popolare in Germania quando Hitler acquistò potere politico. Il 1º aprile 1933, poco dopo l’elezione di Hitler al cancellierato, il fanatico antisemita Julius Streicher, con la partecipazione delle Sturmabteilung e attraverso le colonne della rivista antisemita Der Stürmer da lui diretta, organizzò una giornata di boicottaggio di tutte le attività economiche tedesche gestite da ebrei (l’ultima impresa gestita da ebrei rimasta in Germania venne chiusa il 6 luglio 1939). Nonostante la fredda accoglienza da parte della popolazione tedesca che fece rientrare il boicottaggio dopo solo un giorno, questa politica servì a introdurre una serie di progressivi atti antisemiti che sarebbero poi culminati nella Shoah. Gran parte della storiografia ritiene peraltro che l’obiettivo dello sterminio fisico non fosse fin dall’inizio il fine ultimo della politica antiebraica nazista e che, almeno fino al 1938, si ritenne possibile, mediante crescenti pressioni, forzare l’emigrazione in massa degli ebrei. Tuttavia è indubbio che i dirigenti nazisti non agirono in modo sistematico e coerente in questo senso, non svilupparono adeguate misure politico-diplomatiche e al contrario protestarono con alcuni paesi per l’accoglienza riservata agli ebrei.

Il processo di distruzione degli ebrei d’Europa richiese in primo luogo una precisa individuazione dell’obiettivo da colpire; la burocrazia ministeriale tedesca elaborò quindi una serie di disposizioni amministrative per identificare “ariani” e “non ariani” che, pur definite propagandisticamente “leggi razziali” (Rassengesetze), si basavano invece sul criterio della religione praticata e non su presunte caratteristiche biologico-razziali dell’individuo. Il primo decreto fu il cosiddetto Arierparagraph del 7 aprile 1933 che definiva “non ariani” non solo gli ebrei puri (Volljuden, con quattro nonni ebrei) ma anche gli ebrei per tre quarti, per metà e per un quarto.

Le leggi di Norimberga (“legge per la protezione del sangue e dell’onore tedeschi” e “legge sulla cittadinanza del Reich”), promulgate in fretta e dopo una stesura di pochi giorni il 14 settembre 1935, di fatto esclusero le persone definite “ebrei” da ogni aspetto della vita sociale tedesca e furono opera principalmente degli alti funzionari del ministero degli Interni Wilhelm Stuckart e Bernhard Lösener. Questi decreti modificarono i criteri di inclusione, codificando l’esistenza accanto agli “ariani” e agli “ebrei” di una “terza razza”, quella dei Mischlinge di secondo e primo grado (con uno o due nonni ebrei ma non di fede ebraica). Sulla base di queste leggi fondamentali l’apparato politico-amministrativo del Reich sviluppò una lunga serie di nuove disposizioni e decreti che delinearono la cosiddetta “soluzione economica del problema ebraico”. Gli ebrei tedeschi vennero quindi estromessi dalla funzione pubblica con il decreto del 7 aprile 1933 che portò al licenziamento dei dipendenti statali, compresi medici, avvocati e militari.

Il passaggio successivo della “soluzione economica” furono le cosiddette “arianizzazioni” delle attività ebraiche autonome, dei servizi, dell’industria e del commercio: nell’aprile 1938 il ministero dell’Interno stabilì il concetto giuridico di “impresa ebraica” su cui basare i trasferimenti delle attività ebraiche ai nuovi proprietari tedeschi, ma fin dal 1933 erano in corso le “arianizzazioni volontarie” che prevedevano il trasferimento delle imprese su base teoricamente volontaria. Sottoposti a crescenti pressioni per liquidare o vendere le loro attività economiche gli imprenditori ebrei si rassegnarono, si affrettarono a vendere, in alcuni casi fecero resistenza. Nel 1938 cominciò la fase delle “arianizzazioni coatte” (zwangsarisierung) in cui il proprietario ebreo era costretto a vendere ed era rappresentato da un “mandatario” tedesco. Infine una nuova serie di decreti proibirono agli ebrei l’esercizio di alcuni tipi di servizi, delle professioni mediche, dell’avvocatura, del commercio al dettaglio; il 3 dicembre 1938 i ministri dell’Economia e dell’Interno, Walther Funk e Wilhelm Frick, firmarono un decreto che imponeva agli ebrei di vendere tutte le attività industriali, i valori mobili, terre, foreste e altri beni immobiliari.

VIOLENZE ED EMIGRAZIONE FORZATA

Le politiche antiebraiche della Germania nazista ebbero una svolta con il pogrom del 9-10 novembre 1938, passato alla storia con il nome di «Notte dei cristalli» (Kristallnacht); organizzato su impulso principale di Joseph Goebbels e dei funzionari del partito nazista, il pogrom provocò numerose vittime ed ingenti danni materiali. In un primo bilancio redatto dalle stesse autorità naziste (una lettera di Reinhard Heydrich a Hermann Göring dell’11 novembre 1938) si parla di almeno 815 negozi distrutti, 171 case incendiate, 191 sinagoghe bruciate, cui si aggiungono 36 ebrei uccisi, 36 gravemente feriti e oltre 20.000 deportati: 10.911 a Dachau (provenienti da Germania meridionale e Austria), 9.828 a Buchenwald (Germania centrale), e più di 6.000 a Sachsenhausen (Germania settentrionale) In realtà, le conseguenze furono molto più serie. In quello che rimane il colpo più grave inferto al patrimonio artistico e culturale ebraico d’Europa, più di 1.400 sinagoghe e case di preghiera ebraiche (la quasi totalità di quelle presenti nel territorio del Terzo Reich) vennero incendiate, causando danni irreparabili e nella maggior parte dei casi la loro totale distruzione. Tra di loro erano alcuni tra i monumenti più importanti ed significativi dell’architettura sinagogale tedesca, come il Leopoldstädter Tempel di Vienna, la Sinagoga maggiore di Francoforte sul Meno, la Sinagoga nuova di Hannover, la Sinagoga nuova di Breslavia, e molte altre. Migliaia di appartamenti e negozi furono distrutti e saccheggiati. Le vittime furono circa 400, oltre ai molti che nei giorni e mesi successivi periranno nei campi di concentramento.

La violenza incontrollata della Notte dei Cristalli provocò accese polemiche nella dirigenza nazista: Heinrich Himmler, il capo delle SS, riteneva inefficaci queste azioni e accusò Goebbels, principale promotore del pogrom, di “sete di potere”; mentre Hermann Göring mostrò preoccupazioni economiche legate ai danni provocati ai beni materiali e ai risarcimenti delle compagnie assicurative tedesche, e per possibili ripercussioni internazionali. In discussione non erano le politiche antisemitiche, ma le loro modalità di attuazione, perché avvenissero in modo più ordinato e conveniente.Lo stesso Hitler, che pur aveva approvato il pogrom[esiste una fonte storica che sostiene con “certezza” che Hitler non solo sapeva ma aveva “approvato” il pogrom? Quale? Hilberg mette ampiamente in dubbio, con documenti, tale “certezza”], intervenne e, di fronte alle numerose reazioni negative, assegnò, tramite Martin Bormann, a Göring l’incarico di trovare una soluzione coordinata della “questione ebraica”. Il 12 novembre 1938 si tenne una riunione generale presso il ministero dell’Aviazione con la presenza di oltre cento funzionari; Göring valutò il problema ebraico principalmente dal punto di vista della convenienza economica, criticò iniziative incontrollate, propose la confisca dei beni e delle attività ebraiche e annunciò la creazione di una “ammenda di riparazione” per i danni del pogrom da far pagare agli ebrei stessi. Goebbels parlò di misure di discriminazione sociale mentre Reinhard Heydrich propose l’obbligatorietà di un distintivo di riconoscimento (proposta rifiutata da Hitler). In quello stesso giorno Göring promulgò una serie di ordinanze con l’imposizione della multa e l’esclusione definitiva degli ebrei dall’economia tedesca a partire dal 1º gennaio 1939.

Il 24 gennaio 1939 Goring diede l’incarico a Reinhard Heydrich, capo dell’SD, di trovare “una soluzione al problema ebraico, secondo le circostanze del momento”; la scelta della dirigenza del Reich, dopo le misure di esclusione dalla vita economica e sociale, si basava sull’incremento massimo delle politiche di emigrazione forzata fino a rendere la Germania “libera da ebrei”. Il comandante della Gestapo, Heinrich Müller, divenne il responsabile dell’Agenzia centrale per emigrazione ebraica di Berlino, mentre un ruolo fondamentale nel programma di emigrazione forzata venne assunto dal tenente colonnello SS Adolf Eichmann già distintosi in precedenza per i suoi successi. Eichmann, attivo nella sezione II-112 dell’SD e poi responsabile dell'”dipartimento giudaico” delle SS (Judenreferat), esperto di questioni ebraiche, aveva partecipato dal 1937 al programma di emigrazione degli ebrei tedeschi in Palestina (attivato fin dal 1933 con l’Haavara Agreement) e poi nell’ottobre 1938 aveva diretto con successo la sezione emigrazione costituita a Vienna dopo l’Anschluss che aveva forzato la partenza di 50.000 ebrei austriaci in sei mesi.

La politica di emigrazione forzata, perseguita dal Terzo Reich fin dal 1933, non ottenne risultati decisivi e si trovò di fronte una serie di difficoltà insormontabili mentre al contrario la popolazione ebrea all’interno dell’area di influenza tedesca, in continua crescita con la politica espansionistica di Hitler, aumentava di numero. Dal 1933 al 1938 erano emigrati circa 150.000 ebrei e nel 1939 l’Ufficio di Eichmann, esercitando forti pressioni, riuscì a far emigrare altre 78.000 persone. Tuttavia il programma di emigrazione in Palestina, favorito da contatti tra sionisti e agenti tedeschi dell’SD, dovette essere sospeso per i dubbi di Hitler di fronte alla prospettiva della rinascita di una nazione ebraica in Terra santa e per il rifiuto britannico di accogliere altri ebrei a causa delle tensioni con gli arabi. Inoltre anche altre nazioni, come la Svizzera e la Svezia, ridussero fortemente l’accoglienza; in Polonia, Romania e Ungheria si stavano sviluppando correnti antisemitiche, la Francia rifiutò di accettare altri ebrei tedeschi, e anche Stati Uniti e Gran Bretagna inasprirono le leggi sull’immigrazione.

Rimasero attive ancora precarie vie di emigrazione ebraica attraverso Lituania, Unione Sovietica, Shanghai, Giappone (alcuni Ebrei si rifugiarono infatti in estremo Oriente) e attraverso Spagna e Portogallo; fino al marzo 1941 altri 13.000 ebrei riuscirono a raggiungere illegalmente la Palestina, attraverso i porti sul Danubio della Romania, mediate accordi tra l’SD e la struttura sionista dell’Aliyah Bet, l’immigrazione illegale organizzata dalle autorità ebraiche in Palestina.

Nonostante le crescenti difficoltà, tra il 1933 e il 1939 la popolazione ebrea nel vecchio Reich si ridusse, con l’emigrazione e l’espulsione, da 503.000 a 240.000 persone, mentre anche il numero degli ebrei presenti in Austria (180.000) e in Cecoslovacchia (85.000) diminuì del 50% grazie all’attività dell’ufficio di Eichmann. Quasi la metà dei circa 400.000 profughi ebrei fuggiti dalla Germania o dai territori dominati dai tedeschi si stabilirono nei paesi europei e sarebbero rimasti esposti alla macchina del genocidio attivata dal Terzo Reich negli anni della seconda guerra mondiale.

PROGETTO DI DEPORTAZIONE E GHETTIZZAZIONE

L’inizio della seconda guerra mondiale e l’invasione della Polonia provocarono un radicale cambiamento della “questione ebraica” e l’attivazione da parte del Reich di nuove iniziative sempre più dure; nello spazio di poche settimane la Germania occupò territori in cui vivevano quasi 3 milioni di ebrei, già in precedenza soggetti a forti restrizioni ed esposti a fenomeni di antisemitismo da parte delle autorità polacche. Nei territori della Polonia che la Germania annesse direttamente (il cosiddetto Warthegau) erano presenti 603.000 ebrei, mentre nel costituendo Governatorato Generale vivevano oltre 2 milioni di ebrei.

Le prime misure contro questa numerosa popolazione ebraica furono immediate: nel corso dell’operazione Tannenberg sette “gruppi operativi speciali” delle SS (Einsatzgruppen) si incaricarono dell’individuazione e soppressione violenta delle “élite” polacche (potenziali oppositori politici e intellettuali in grado di salvaguardare la cultura polacca) e degli ebrei. In questa fase i polacchi furono particolarmente colpiti e circa 39.000 persone furono uccise sommariamente dai tedeschi, mentre la persecuzione anti-ebraica fu meno sistematica anche se provocò circa 7.000 vittime. Inoltre già alla fine di ottobre 1939 ebbe inizio l’espulsione degli ebrei presenti nei territori annessi al Reich e la loro deportazione nel Governatorato Generale; in un documento del 21 settembre 1939 Reinhard Heydrich, il capo dell’SD e responsabile dell’operazione Tannenberg, delineò le direttive generali della politica antiebraica.

Heydrich distinse tra tempi lunghi e tempi brevi, e tra obiettivi immediati e “meta finale” (Endziel); delineò il programma di deportazione degli ebrei, riservò ai comandi subordinati la definizione delle modalità pratiche di attuazione delle misure; identificò il territorio a est di Cracovia, tra la Vistola e il Bug Occidentale, come una possibile “riserva ebraica” (Judenreservat) in cui evacuare tutti gli ebrei. In una prima fase era però necessario concentrare gli ebrei in pochi centri urbani di raccolta secondo lo schema del ghetto; anche gli ebrei delle campagne dovevano essere trasferiti in questi centri. Questa concentrazione sarebbe stata utile anche per agevolare in futuro l’esecuzione di ulteriori misure antiebraiche. In questo senso lo stesso Heydrich scrisse il 29 settembre 1939 in modo criptico, in una lettera a Kurt Daluege, che “alla fine il problema ebraico” sarebbe stato risolto “in una maniera speciale” (Schließlich, soll das Judenproblem einer besonderen Regelung unterworfen werden).

Elementi caratterizzanti dei ghetti sarebbero divenuti lo straordinario affollamento, la loro “chiusura”, decisa quasi subito, secondo la quale le enclave ebraiche sarebbero state totalmente isolate dal punto di vista sociale, territoriale ed economico dal resto della città, la diffusione di fame, malattia e quindi morte, l’istituzione da parte tedesca di “Consigli ebraici” (Jüdische Altestenräte, conosciuti come Judenräte), una mistificazione di tradizionali organi di autogoverno formati dai maggiorenti ebrei della comunità, incaricati di mantenere i rapporti con i tedeschi, di collaborare e di dare pronta esecuzione alle direttivi delle autorità del Reich.

Costruzione del muro nel ghetto di Varsavia, per isolare completamente l’enclave ebraica dal resto della città

Il primo ghetto a essere ufficialmente costituito fu quello di Łódź il 10 dicembre 1939, seguirono poi Varsavia (2 ottobre 1940), Cracovia (3 marzo 1941), Lublino (24 marzo 1941), Kielce (marzo 1941), Radom (aprile 1941). La vita degli ebrei in queste aree totalmente isolate e sovraffollate (il ghetto di Varsavia arrivò a contare 400.000 persone e quello di Łódź 200.000), divenne estremamente difficile: la fame e le malattie provocarono tassi di mortalità elevatissimi, si diffuse la microcriminalità, la presenza dei Judenräte e di una polizia ebraica al servizio dei tedeschi divise la comunità e favorì recriminazioni e conflittualità, si moltiplicarono rivalità e scontri. Inoltre gli ebrei dei ghetti vennero sfruttati nel lavoro coatto al servizio dell’apparato produttivo del Reich.

Oltre a organizzare la concentrazione degli ebrei polacchi nei ghetti, Heinrich Himmler, capo delle SS, del RSHA e incaricato dal 7 ottobre 1939 di dirigere anche il RKFDV (Reichskommissar für die Festigung deutschen Volkstums, “commissariato del Reich per la difesa della razza tedesca”), tentò di cominciare una gigantesca operazione di pulizia etnica, germanizzazione e deportazione, studiata per decimare la popolazione polacca, colonizzare le terre con tedeschi etnici, e soprattutto svuotare la Germania e i territori recentemente annessi, dagli ebrei ancora presenti (circa 380.000 persone). L'”Ufficio per l’emigrazione ebraica” diretto dal tenente colonnello SS Adolf Eichmann studiò i progetti per la deportazione degli ebrei tedeschi, austriaci e del Protettorato di Boemia e Moravia nel Governatorato Generale, già sovraffollato di ebrei nei ghetti.

Le deportazioni ebbero inizio nell’ottobre 1939 e alcune migliaia di ebrei provenienti da Vienna, Ostrava e Katowice vennero trasferiti a Nisko, nei pressi di Lublino, ma il progetto andò rapidamente incontro al fallimento; gravi difficoltà di trasporti, la confusione organizzativa e logistica e le vivaci proteste di Hans Frank, responsabile con pieni poteri nel Governatorato, arrestarono molto presto le evacuazioni nella ipotizzata “riserva ebraica”. Frank, alle prese con la sua massa di ebrei già presenti e desideroso a sua volta di liberarsi di loro, rifiutò di accoglierne altri e intervenne con Hermann Göring che, preoccupato soprattutto per i possibili danni economici provocati dai vasti trasferimenti di popolazione previsti, riuscì a bloccare il progetto. L’11 marzo 1940 Himmler fu costretto a interrompere le deportazioni e quindi il piano della “riserva ebraica” tra la Vistola e il Bug in cui concentrare tutti gli ebrei del Reich e dei territori occupati venne abbandonato.

La vittoria tedesca sul fronte occidentale dell’estate 1940 sembrò aprire prospettive di potere mondiale per il Terzo Reich e in questo contesto emersero nuovi progetti territoriali per risolvere il “problema” degli ebrei d’Europa. Fin dal 27 maggio 1940 Himmler aveva inviato un dettagliato memorandum a Hitler in cui ritornava sui suoi grandiosi progetti di reinsediamento, deportazione e germanizzazione delle terre dell’est e proponeva di evacuare gli ebrei in una non meglio precisata “colonia in Africa o altrove”; il Reichsführer in questo documento riteneva “non da tedeschi” adottare la soluzione “di tipo bolscevico” dello sterminio di massa.

Il 3 luglio 1940 il ministero degli Esteri del Reich presentò la sua proposta: il nuovo vice-responsabile agli affari ebraici del ministero, Franz Rademacher (alle dipendenze di Martin Luther), propose in un documento la deportazione di tutti gli ebrei in Madagascar, dove avrebbero vissuto sotto sorveglianza tedesca come garanzia in caso di complicazioni con la comunità ebraica americana. Il “piano Madagascar”, che riprendeva vecchie ipotesi di deportazione sull’isola del XIX secolo e degli anni trenta di origine polacca e francese, sembrò realizzabile, in vista della vittoria finale ritenuta imminente sulla Gran Bretagna, e venne divulgato a livello diplomatico.

Si discusse di cessione del Madagascar da parte della Francia alla Germania come “mandato” e ci furono colloqui con italiani e rumeni. Adolf Eichmann parlò del trasferimento di quattro milioni di ebrei in un paese non precisato, e anche Hans Frank parlò il 12 luglio 1940 di intera “tribù ebraica” evacuata in Madagascar. Heydrich convenne sulla necessità di una soluzione territoriale, e anche Hitler in agosto disse di completa “evacuazione” del popolo ebraico dopo la guerra.

Fu in un documento del 4 dicembre 1940, preparato dal tenente colonnello SS Adolf Eichmann per un discorso di Himmler ai Gauleiter, che comparve per la prima volta l’espressione “soluzione finale della questione ebraica” (Endlösung der Judenfrage); si trattava di un consuntivo sul numero degli ebrei che avevano lasciato a quella data il territorio del Reich e del Protettorato (501.711 persone) e sul numero di quelli ancora rimasti (315.642). Riguardo alla “soluzione finale”, Eichmann la identificava sempre nel trasferimento di circa 5,8 milioni di ebrei “al di fuori dello spazio economico europeo, in un territorio ancora da definire”.

Gli sviluppi bellici fecero svanire ben presto questi progetti; la crescente resistenza britannica rese del tutto impraticabile un eventuale trasporto via mare in Madagascar, e già prima dell’invasione dell’Unione Sovietica il piano era ormai stato abbandonato da Hitler che disse a Martin Bormann di aver riflettuto su altre idee “non altrettanto gradevoli”. Rademacher nell’ottobre 1941 convenne dell’irrealizzabilità del progetto e scrisse che il Führer aveva deciso di deportare gli ebrei “non in Madagascar ma all’est”.

UNITA’ MOBILI DI STERMINIO (EINSATZGRUPPEN)

La fase di pianificazione dell’invasione dell’Unione Sovietica (operazione Barbarossa) fu caratterizzata da una serie di riunioni, direttive e decisioni politico-militari che ebbero conseguenze decisive anche per la popolazione ebraica dell’est. Nei territori sovietici che furono occupati dalla Wehrmacht nei primi mesi dell’invasione risiedevano 10 milioni di ebrei, di cui 2 milioni nei territori polacchi e baltici recentemente annessi dall’URSS; circa 1,5 milioni riuscirono a fuggire abbandonando le proprie case e trasferendosi verso est insieme alle truppe sovietiche in ritirata, ma gli altri, concentrati prevalentemente nelle aree urbane, subirono le micidiali conseguenze dell’arrivo dell’invasore tedesco.

Le prime decisioni vennero prese durante due riunioni di Reinhard Heydrich con il generale Eduard Wagner, quartiermastro generale dell’esercito tedesco, e con Hermann Göring il 26 marzo 1941; con Wagner, Heydrich concordò che le SS avrebbero avuto piena autonomia per salvaguardare la sicurezza dietro il fronte combattente nei territori di cui si prevedeva l’occupazione. Nel successivo incontro con Göring invece Heydrich discusse una nuova “soluzione per la questione ebraica”; la proposta verteva sulla deportazione di tutti gli ebrei europei all’est, probabilmente nell’estremo nord sovietico, dove sarebbero stati tenuti sotto sorveglianza. Anche Joseph Goebbels nel suo diario fece riferimento il 20 giugno a una riunione con Hitler e Hans Frank in cui si era parlato di deportare lontano all’est gli ebrei del Governatorato Generale e scrisse di “disintegrazione graduale della popolazione ebrea polacca”.

Dal 12 al 15 giugno Heinrich Himmler riunì nel suo castello in Sassonia a Wewelsburg, oltre a Heydrich, i principali generali delle SS, Kurt Daluege, Erich von dem Bach-Zelewski, Karl Wolff, Rudolf Brandt, Werner Lorenz, Friedrich Jeckeln e Hans-Adolf Prützmann; illustrò ampiamente le visioni di germanizzazione e rivoluzione razziale e i progetti globali del nazismo. Dopo la conquista dell’URSS tutti gli ebrei del continente sarebbero stati in mano tedesca e sarebbero stati eliminati dall’Europa; gli slavi sarebbero stati decimati, parlò di eliminare 20-30 milioni di persone.

Dal punto di vista operativo nell’aprile 1941 furono quindi costituiti, sulla base delle esperienze precedenti in Polonia, quattro gruppi operativi mobili delle SS (Einsatzgruppen) incaricati, formalmente alle dipendenze dell’esercito territoriale ma in realtà a disposizione dell’RSHA, di eliminare qualunque opposizione nei territori occupati, di mantenere l’ordine e di sterminare membri del partito comunista, eventuali partigiani ed ebrei. Inoltre una direttiva di Heydrich del 29 giugno stabilì che, oltre a eliminare tutti i funzionari ebrei, fossero incoraggiati pogrom antiebraici (definiti Selbstbereinigung, “autoepurazione”) sfruttando i diffusi sentimenti antisemiti presenti nelle popolazioni e nelle minoranze nazionaliste dei Paesi Baltici, della Bielorussia e dell’Ucraina.

A partire dal luglio 1941 si scatenò nelle terre dell’est un’ondata di violenze, di massacri e di stermini di massa: in novembre 1941 Himmler poté comunicare a Hitler che erano già stati eliminati, mediante fucilazioni sommarie ed esplosioni di violenza dei nazionalisti locali, 363.211 ebrei, mentre una statistica interna del 1943 calcolò che a opera degli Einsatzgruppen erano stati “trasferiti all’est” (eufemismo per “sterminati”) 633.300 ebrei. Fin dal 16 luglio 1941 il Führer aveva parlato delle nuove “possibilità” di eliminare tutti i nemici aperte dalle conquiste all’est e dalla lotta “contro i partigiani”. Alla fine di luglio Heinrich Himmler diramò un “ordine esplicito” (ausdrücklicher Befehl) in cui prescriveva ad alcune formazioni SS di uccidere “tutti gli ebrei” (sämtliche Juden), e in una successiva comunicazione al comandante del Einsatzgruppe B parlò di fucilare, se ci fosse stato bisogno (gegenbenefalls), anche donne e bambini che quindi in futuro non avrebbero potuto trasformarsi in vendicatori. Il 15 agosto Himmler si recò personalmente a Minsk e assistette alle esecuzioni di ebrei da parte degli Einsatzgruppen.

Particolarmente micidiale risultò l’operato del Einsatzgruppe A guidato da Franz Stahlecker nei Paesi Baltici; i nazionalisti locali di Lituania e Lettonia scatenarono pogrom sanguinosi, la Wehrmacht collaborò senza difficoltà con le SS per il rastrellamento degli ebrei, esecuzioni di massa pubbliche vennero effettuate a Ljepaja, a Daugavpils, a Riga. In ottobre l’arrivo del generale SS Friedrich Jeckeln, organizzatore degli eccidi in Ucraina, incrementò ancora lo sterminio, la regione baltica divenne il primo territorio europeo dichiarato judenfrei (“libero da ebrei”), entro l’inizio del 1942 erano ormai stati uccisi 229.052 ebrei. Anche gli altri Einsatzgruppen si impegnarono a fondo negli eccidi: a metà ottobre lo Einsatzgruppe B di Otto Rasch riferì l’uccisione di 75.000 ebrei, a novembre lo Einsatzgruppe C, guidato da Arthur Nebe, calcolava 45.467 vittime e il 12 dicembre Otto Ohlendorf, comandante del Einsatzgruppe D in azione nel settore meridionale del fronte orientale riferì di 54.696 uccisioni. Massacri di massa ebbero luogo il 29 settembre 1941 a Babi Yar, nei pressi di Kiev, dove furono uccisi dai tedeschi 33.700 ebrei, e a Kam”janec’-Podil’s’kyj dove il generale Jeckeln organizzò lo sterminio in agosto di oltre 20.000 ebrei.

Nel corso della prima fase dei massacri gli Einsatzgruppen uccisero circa 1.000 persone al mese; i compiti venivano svolti con precisione burocratica e con un’attenta pianificazione logistica; le tecniche di sterminio erano standardizzate. Le vittime venivano condotte nei pressi di fossati anticarro o crateri di granata o erano costrette a scavare loro stesse delle fosse; quindi venivano uccise con il fuoco di mitragliatrice o armi leggere. In alcuni reparti era in azione “specialisti nel tiro alla nuca” (Genickschsspezialisten), altri impiegavano il tiro di squadra a distanza, un altro metodo impiegato era il cosiddetto “sistema delle sardine” (Ölsardinenmanier) che prevedeva di far distendere sul fondo del fossato il primo gruppo e poi di sterminarlo con il fuoco incrociato dall’alto, seguito da altri cinque o sei gruppi successivi che venivano fatti distendere sopra i cadaveri. Queste tecniche combinavano la macabra efficacia con la necessità di mantenere impersonali le esecuzioni per conservare il morale e la solidità nervosa degli esecutori dei massacri.

A partire dalla fine dell’anno 1941 ebbe inizio la seconda ondata di massacri nelle terre dell’est: i compiti degli Einsatzgruppen della SD vennero progressivamente affidati all’apparato di repressione organizzato dalla nuova amministrazione dei territori occupati dell’est: entro la metà del 1942 165.000 uomini (saliti a 300.000 all’inizio del 1943) appartenenti alla Ordnungpolizei (quindici battaglioni suddivisi tra Schutzpolizei nelle città e Gendarmerie nelle campagne), a formazioni di sicurezza dell’esercito (Feldgendarmerie e Geheime Feldpolizei) o per la cosiddetta “lotta contro le bande” (Bandenkampfverbände) e a reparti ausiliari baltici, bielorussi e ucraini reclutati sul posto (organizzati in Schutzmannschaft mobile, Ordnungsdienst e Hilfspolizei stanziali) continuarono l’opera di sterminio degli ebrei ancora presenti nei Reichkommissar e nelle retrovie del fronte.

I Reichkommissar Hinrich Lohse (Ostland) e Erich Koch (Ucraina) diedero il massimo impulso allo sterminio nei loro rispettivi territori; oltre alle fucilazioni si fece ricorso ad autocarri a gas provenienti da Berlino che fornirono un servizio mobile di gassazione. Gli ebrei scampati alla prima ondata di massacri erano in parte rifugiati nelle foreste, isolati o inseriti in gruppi partigiani sovietici, e in parte concentrati in numerosi ghetti nell’Ostland o in Ucraina (i principali a Riga, Kaunas, Vilnius, Minsk, Pinsk). Nel territorio vennero condotte una serie di operazioni anti-partigiane dei Bandenkampfverbände che si conclusero con l’uccisione di gran parte degli ebrei; nei ghetti, nonostante alcuni tentativi di resistenza ebraica di scarso successo (principalmente a Vilnius da parte del FPO – Fareinike Partisaner Organizzazie), le formazioni tedesche e ausiliarie sterminarono brutalmente la popolazione entro il 1943[78]. La “liquidazione” dei ghetti dell’est cominciava con lo scavo delle fosse da parte di lavoratori ebrei; la Ordnungpolizei, le SS e le polizie ausiliarie locali stendevano quindi un cordone intorno al ghetto e passavano all’azione generalmente all’alba o di notte alla luce di proiettori o razzi. Gli esecutori penetravano nel ghetto radunando gli ebrei, incendiando le case e annientando i resistenti con granate e armi leggere; ai punti di raccolto quindi gli ebrei venivano trasporti su autocarri accanto alle fosse comuni dove, dopo essersi spogliati, venivano fucilati cominciando da bambini e neonati.

Al momento del ritiro definitivo dei tedeschi (1944) nei vecchi confini del 1941, erano stati uccisi oltre 2 milioni di ebrei presenti nei territori sovietici occupati.

SOLUZIONE FINALE

Il 31 luglio 1941 Hermann Göring inviò una lettera di grande importanza a Reinhard Heydrich, incaricandolo di studiare e risolvere i problemi organizzativi e tecnici relativi alla prevista “soluzione totale” (Gesamtlösung) della questione ebraica nell’area di dominio nazista in Europa. La lettera di Göring a Heydrich del 31 luglio 1941 diceva: «A integrazione dei compiti a Lei già assegnati con decreto del 24 gennaio 1939 di portare la questione ebraica ad una opportuna soluzione in forma di emigrazione o evacuazione il più possibile adeguata alle circostanze attuali, con la presente La incarico di curare tutti i preparativi necessari sotto il profilo organizzativo, pratico e materiale per una soluzione totale [Gesamtlösung] della questione ebraica nei territori sotto l’influenza tedesca. Nella misura in cui vengano toccate le competenze di altre autorità centrali, queste devono essere cointeressate. La incarico inoltre di presentarmi quanto prima un progetto complessivo dei provvedimenti preliminari organizzativi, pratici e materiali per l’attuazione dell’auspicata soluzione finale [Endlösung] della questione ebraica». Göring inoltre incaricava Heydrich di presentargli un piano globale riguardo alle misure da adottare concretamente per l’attuazione della desiderata “soluzione finale” (Endlösung) del problema ebraico. La missiva, in realtà, era stata scritta da Adolf Eichmann su richiesta dello stesso Heydrich e sottoposta all’approvazione di Göring per garantirsi il suo consenso e per affermare burocraticamente l’autorità suprema delle SS di Heinrich Himmler e Heydrich riguardo alle competenze sulla gestione del problema ebraico.

La disponibilità dei vasti territori orientali occupati rendeva teoricamente possibile progettare il trasferimento degli ebrei in queste regioni; i Gauleiter (in particolare Hans Frank) facevano costantemente pressione per essere liberati dai loro ebrei di cui richiedevano la deportazione all’est; venne anche preso in considerazione il trasferimento degli ebrei tedeschi ancora residenti in Germania (131.800 ebrei nel vecchio Reich, 43.700 in Austria) al fine di rendere il Reich “libero da ebrei” il prima possibile.

Nei mesi seguenti tuttavia Hitler sembrò ancora convinto della necessità di attendere la vittoria finale all’est prima di procedere con le deportazioni in massa; il tenente colonnello SS Adolf Eichmann, capo del Zentralstelle für jüdische Auswanderung (Ufficio centrale per l’emigrazione ebraica, dipartimento IVB4 del RSHA dipendente dall’ufficio IV – Gestapo – di Heinrich Müller) ai primi di agosto 1941, durante una conferenza di funzionari, affermò che il Führer aveva respinto la richiesta di Heydrich di cominciare subito la deportazione degli ebrei all’est durante la guerra in corso. Il 18 agosto, durante un colloquio con Joseph Goebbels, Hitler accolse la proposta di contrassegnare con il simbolo identificativo della Stella di Davide con la parola jude gli ebrei del Reich, ma confermò che il trasferimento all’est sarebbe stato attuato quando si sarebbero resi disponibili i mezzi di trasporto, dopo la fine della campagna all’est prevista per il mese di ottobre 1941.

Dopo aver appreso che Stalin stava deportando in Siberia i tedeschi del Volga, Hitler decise il 17 settembre 1941 di approvare la proposta di Heydrich di cominciare a deportare all’est gli ebrei tedeschi nonostante le enormi difficoltà logistiche create dalla situazione sul fronte orientale. Nella decisione di Hitler può aver influito anche il suo desiderio di esercitare pressioni sul presidente Roosevelt minacciando la rovina degli ebrei in caso di un suo intervento nella guerra. Heydrich inizialmente decise di trasferire a partire dal 15 ottobre nel ghetto di Łódź 20.000 ebrei delle città tedesche, da Vienna e dal Protettorato; molti sarebbero morti di fame e di freddo, altri sterminati da gennaio 1942 nel campo di Chełmno, dove dal 6 dicembre cominciarono le gassazioni, mediante speciali autocarri, degli ebrei locali. In autunno Himmler decise di organizzare anche i ghetti di Minsk, Kaunas e Riga per accogliere ebrei del Reich e del Protettorato di Boemia e Moravia. La deportazione di altri 22.000 ebrei tedeschi ebbe inizio l’8 novembre; per fare spazio ai nuovi arrivati dal Reich si procedette all’annientamento delle comunità ebraiche di Riga (30.000 persone), Minsk (20.000) e Kaunas (10.000).

Le procedure di deportazioni degli ebrei del Reich prevedevano la collaborazione delle strutture amministrative ebraiche che compilavano lunghi elenchi di persone destinate al “reinsediamento” che venivano utilizzate dalla Gestapo per organizzare i contingenti da trasportare; i dirigenti ebrei dovevano anche fornire personale ausiliario (Ausheberdienst o Jupo) che collaborava con gli agenti tedeschi nelle irruzioni a domicilio, compilando questionari, aiutando nei preparativi, sorvegliando i deportati nei luoghi di raccolta (Sammelstelle o Durchgangslager) e accompagnandoli ai treni (Transporthelfer). Sui convogli per l’est la sorveglianza, generalmente assegnata a poche decine di uomini con armi leggere per ogni carico di circa 1.000 ebrei, spettava agli Schupo della Ordnungspolizei.

L’andamento delle operazioni all’est fu molto diverso dalle previsioni dei dirigenti tedeschi e dopo il fallimento della battaglia di Mosca, la Wehrmacht fu costretta a combattere durante l’inverno russo un’aspra battaglia difensiva. Di conseguenza divenne irrealizzabile un progetto di deportazione di massa nell’estremo nord sovietico. Negli ultimi tre mesi del 1941 Hitler mostrò qualche incertezza sulle decisioni da prendere; secondo lo storico Saul Friedländer la decisione di procedere allo sterminio potrebbe essere stata presa in considerazione dal Führer nel mese di ottobre (come sembra di poter dedurre da alcuni documenti e dalle testimonianze di Eichmann e di Erhard Wetzel, il capo dell’Ufficio del Reich per la politica razziale all’est, Reichsministerium für die besetzten Ostgebiete) e resa definitiva e irreversibile a dicembre dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti e la controffensiva dell’Armata Rossa davanti a Mosca.

Sulle motivazioni di questa decisione, presa nel periodo di deterioramento della situazione militare complessiva della Germania, lo storico Enzo Collotti sottolinea che l’accelerazione della “soluzione finale”, in apparenza controproducente ai fini dell’utilizzo di forza lavoro coatta per la macchina bellica del Reich, può essere ricondotta alle difficoltà pratiche di mantenimento di milioni di ebrei nei ghetti con conseguenti problemi sanitari, igienici e di sostentamento e, in modo preminente, a motivazioni ideologiche. La decisione quindi andrebbe ricondotta al fanatismo razziale di Hitler e dei principali dirigenti del Reich, alla necessità di fornire un ammonimento esemplare ad altre popolazioni occupate, e soprattutto alla volontà di esaltare lo spirito di resistenza del popolo tedesco ponendolo di fronte, con la concreta realtà dello sterminio, all’alternativa radicale del suo annientamento o di quello dei suoi nemici mortali. Anche lo storico John Lukacs interpreta la decisione di Hitler di procedere alla “soluzione finale”, da questo autore retrodatata al settembre 1941, come un “atto propiziatorio”, dimostrando, con l’annientamento del nemico razziale, la sua volontà “fanatica” di combattere fino in fondo, e come un “atto di vendetta” in anticipo nel caso, ritenuto probabile dal Führer già in questa fase della guerra, di una sconfitta della Germania. Inoltre lo storico tedesco Hans Mommsen considera il proseguimento del programma di sterminio anche negli ultimi anni di guerra come decisione del regime nazista di “risolvere”, malgrado i continui rovesci sui fronti, almeno la “questione ebraica” e come convinzione di poter raggiungere l’invincibilità militare e politica del Reich mediante la totale omogeneità etnico-razziale raggiunta dopo l’annientamento degli ebrei.

Altri studiosi dell’Olocausto hanno datato in modo diverso il momento della decisione definitiva di procedere allo sterminio e quindi le motivazioni di Hitler: mentre Lucy Davidowitz e Daniel Goldhagen fanno discendere la concatenazione dei fatti direttamente dalle concezioni ideologico-razziali di Hitler espresse fin dal 1918-1920, Yehuda Bauer sostiene che la decisione fu adottata nel marzo 1941, in connessione con la chiara indicazione del Führer sul carattere di “guerra di annientamento” dell’imminente campagna all’est, e Richard Breitman stabilisce il momento al maggio 1941, collocandolo tra gli obiettivi principali dell’attacco all’URSS. Lo storico tedesco Peter Witte crede di aver individuato il momento della decisione ai giorni 16-17 settembre 1941, in un momento di euforia per il previsto trionfo della guerra orientale; Cristopher Browning parla di un Hitler ancora indeciso negli ultimi mesi dell’anno 1941 e propende per una data intorno al 10 ottobre 1941, quando il Führer ritenne di avere la vittoria in pugno. Infine Raul Hilberg riferisce che Adolf Eichmann apprese, verso la fine dell’estate 1941, direttamente da Heydrich (che a sua volta era stato informato da Himmler) che Hitler aveva “ordinato lo sterminio fisico degli ebrei” (der Führer hat nunmehr die physische Vernichtung der Juden angeordnet). Hilberg, sulla base delle dichiarazioni di Eichmann, che durante il suo processo a Gerusalemme dichiarò che l’ordine di Hitler sarebbe stato comunicato a Himmler “due o tre mesi dopo l’attacco all’URSS”, e di quelle di Rudolf Höss che nelle sue memorie scrisse di essere stato convocato “d’estate” da Himmler per i primi progetti organizzativi dello sterminio, colloca la decisione di Hitler a “prima della fine dell’estate 1941”.

Il 12 dicembre 1941 ebbe luogo un’importante riunione nell’appartamento privato del Führer alla presenza dei Gauleiter. Goebbels, l’unica fonte di questa riunione, riportò nel suo diario i contenuti del discorso di Hitler. Dopo una lunga esortazione alla spietatezza e alla resistenza nella “lotta per la sopravvivenza” del popolo tedesco, e un’ottimistica esposizione delle prospettive globali della guerra, il Führer avrebbe affermato esplicitamente che gli ebrei avrebbero dovuto essere spazzati via (reinen Tisch zu machen, “fare piazza pulita”); con riferimento alla sua lugubre “profezia” del 30 gennaio 1939 Hitler espresse la sua decisione di annientare gli ebrei. Di ritorno dalla riunione anche Hans Frank riferì queste notizie ai suoi subordinati parlando esplicitamente di eliminazione degli ebrei; riferì inoltre che Hitler aveva parlato di sterminio attivo degli ebrei non solo dell’est ma anche di quelli del Governatorato Generale (calcolati tra i 2,5 e i 3,5 milioni).

Dopo essere stata inizialmente fissata per il 9 dicembre 1941, il 20 gennaio 1942 si tenne a Berlino la cosiddetta Conferenza di Wannsee; presieduta da Heydrich, vide la partecipazione di quattordici persone tra segretari di stato e alti funzionari, compreso Eichmann con funzioni di segretario, ed esaminò a fondo i dettagli burocratico-amministrativi del progetto di “soluzione finale della questione ebraica” (Endlösung der Judenfrage). Heydrich illustrò l’incarico ricevuto direttamente da Göring e rivendicò la responsabilità e l’autorità suprema delle SS sul progetto, ottenendo la collaborazione di Josef Bühler (rappresentante di Frank), di Alfred Meyer, rappresentante di Alfred Rosenberg, di Wilhelm Stuckart e Roland Freisler, segretari di stato dei ministeri degli Esteri e della Giustizia.

Heydrich riferì che Hitler aveva autorizzato l’evacuazione all’est degli ebrei; inoltre calcolò in circa 11 milioni le persone coinvolte nel progetto di soluzione finale ed elencò dettagliatamente le varie comunità ebraiche europee (comprese quelle di Gran Bretagna, URSS, Svizzera). Con termini eufemistici che tuttavia i partecipanti alla riunione mostrarono di aver compreso, parlò di deportazione, di lavori forzati per i fisicamente idonei, di trasferimento al campo di Theresienstadt di vecchi, invalidi e dei decorati veterani di guerra. La gran massa di ebrei non rientranti in queste categorie sarebbe stata immediatamente sterminata. Durante la discussione venne anche presentato il problema dei sangue misti (Mischlinge) e dei matrimoni misti. Il dottor Buhler, segretario di stato per il Governatorato Generale, sollecitò inoltre Heydrich ad avviare subito la soluzione finale nel proprio distretto amministrativo dove erano presenti 2,5 milioni di ebrei. La conferenza di Wannsee terminò con un appello di Heydrich alla collaborazione e con il riconoscimento dell’autorità delle SS di Himmler nell’attuazione del progetto di soluzione finale del problema ebraico.

AKTION REINHARDT

Nei mesi successivi alla conferenza di Wannsee si sviluppò in modo sistematico il programma di “soluzione finale” con la combinazione delle vecchie procedure di uccisioni incontrollate nei territori orientali con l’avvio a ritmo serrato della politica di deportazione da tutta Europa degli ebrei nei campi di Auschwitz e Majdanek, trasformati in lager contemporaneamente di lavoro e di sterminio, e con la costituzione di una rete di campi segreti nel territorio del Governatorato Generale per lo sterminio diretto e immediato degli ebrei polacchi. In realtà fin dall’autunno 1941 Himmler aveva già incaricato l’ufficiale SS Odilo Globočnik, responsabile a Lublino, di studiare e organizzare tecnicamente il concentramento e l’annientamento degli ebrei del Governatorato. Globocnik, ufficiale dal passato turbolento e dalle forti motivazioni nazionaliste e razziste, lavorò intensamente durante l’inverno sperimentando tecniche di sterminio e selezionando comandanti e personale per i nuovi campi che, secondo le disposizioni di Himmler, erano svincolati dall’autorità del generale SS Richard Glücks, il responsabile del Inspektion der Konzentrationlager trasformato il 3 marzo 1942 in sezione D del cosiddetto “Ufficio Centrale SS per la amministrazione economica” (SS Wirtschaftverwaltungs-Hauptamt, WVHA) diretto a sua volta dal generale SS Oswald Pohl, che controllava il sistema dei lager, compreso Auschwitz.

Il programma di Globocnik, sviluppato sotto la costante supervisione di Himmler che si incontrò con l’ufficiale SS il 14 marzo 1942, ebbe inizio il 17 marzo 1942 con l’arrivo dei primi treni carichi di ebrei del distretto di Lublino nel campo di sterminio di Bełżec; altri trasporti seguirono provenienti da Leopoli e Cracovia. Altri campi furono organizzati nel Governatorato a Sobibór in aprile e Treblinka (luglio 1942). Il responsabile dei tre campi di sterminio era l’ufficiale SS Christian Wirth (già coinvolto nel programma di eutanasia), mentre principale collaboratore di Globocnik per il piano di annientamento era il maggiore SS Hermann Höfle. Goebbels annotò per la prima volta nel suo diario alla fine di marzo 1942 gli aspetti fondamentali dei programmi di sterminio degli ebrei del Governatorato; scrisse di “procedura alquanto barbarica che non andrebbe descritta in ulteriore dettaglio” e di circa il 60% di ebrei da “liquidare” con il 40% utilizzabile per il lavoro.

Il 30 aprile il generale SS Pohl, capo del WVHA, presentò a Himmler un importante documento in cui evidenziò l’importanza economica dei campi e dei deportati da utilizzare come forza di lavoro schiavistica in vista di un inevitabile prolungamento della guerra. I deportati dovevano essere sottoposti a un regime di lavoro “sfibrante” (erschöpfend); il ministro della Giustizia Thierack definì il nuovo sistema Vernichtung durch Arbeit (“sterminio per mezzo del lavoro”). In realtà queste nuove direttive che sembravano porre maggiore enfasi sullo sfruttamento economico dei deportati vennero presto superate da nuove decisioni al massimo livello a favore di un potenziamento delle procedure di annientamento degli ebrei.

A luglio la Wehrmacht concluse un accordo con il capo delle SS e della polizia del Governatorato, Friedrich-Wilhelm Krüger, per salvare dalla deportazione e dallo sterminio gli operai e i lavoratori ebrei impiegati nelle fabbriche di armamenti (Rüstungsbetriebe) ma l’intervento di Himmler, con una direttiva che assegnava direttamente alle SS la responsabilità della produzione di armamenti e di equipaggiamenti all’esercito mediante l’impiego di lavoratori ebrei concentrati in apposti grandi campi annessi alle fabbriche, fu decisivo. Himmler sottolineò inoltre che questa misura, che salvaguardava solo gli operai ebrei specializzati e indispensabili per la produzione, era temporanea e che “anche questi ebrei, in conformità con i desideri del Führer, un giorno o l’altro dovranno scomparire”. Tutti gli ebrei lavoratori erano prigionieri sia che dipendessero dai campi da lavoro delle SS (Arbeiteslager) sia dai campi gestiti dalle grandi società industriali (Firmenlager). I campi da lavoro delle SS erano inoltre periodicamente decimati da nuovi procedimenti di selezione, deportazione, sterminio e ricambio dei lavoratori ebrei, in questo modo le imprese industriali delle SS, la Deutsche Ausrustungswerke – DKW -, e le Ostindustrie GmbH, – OSTI – si ritrovarono, entro i primi mesi del 1944, privati della manodopera ebrea deportata e annientata.

Secondo lo storico dell’Olocausto Saul Friedländer due avvenimenti possono avere influito sull’accelerazione e sull’ulteriore radicalizzazione del programma di “soluzione finale”. Il 18 maggio 1942 il gruppo filocomunista, composto in maggioranza da ebrei tedeschi, “gruppo Herbert Baum” fece esplodere un ordigno incendiario nella sede di un’esposizione antisovietica a Berlino, suscitando grande inquietudine in Hitler e Goebbels; il 27 maggio 1942 un gruppo di agenti speciali cecoslovacchi addestrati dai britannici ferirono a morte Reinhard Heydrich, principale responsabile del progetto di distruzione degli ebrei. Il 3, 4 e 5 giugno ebbe luogo un incontro tra Hitler e Himmler in cui è possibile che siano stati discussi e decisi i piani di accelerazione massima del programma di sterminio. Himmler ne parlò il 9 giugno a una riunione di generali SS e il 19 luglio comunicò al generale SS Friedrich Wilhelm Krüger, diretto superiore di Globocnik, che il “reinsidiamento” dell’intera popolazione ebraica del Governatorato doveva essere completato entro il 31 dicembre 1942. Alla fine del mese di luglio Himmler in una lettera a un aiutante scrisse esplicitamente che “i territori orientali occupati saranno liberi da ebrei” e che “questo compito molto difficile” gli era stato assegnato direttamente dal Führer.

Alla metà di giugno 1942 erano già stati uccisi 280.000 ebrei nei campi di sterminio della cosiddetta operazione Reinhard (Aktion Reinhardt), principalmente a Bełżec, Chelmno e Sobibór; a partire da luglio le deportazioni e lo sterminio vennero ancora incrementati, secondo le indicazioni di Himmler, con il potenziamento di Bełżec e l’entrata in funzione anche del campo di Treblinka. Alla fine del 1942 rimanevano in vita nel Governatorato solo 297.000 ebrei su una popolazione iniziale di oltre 2 milioni, e altri 15.000 nel Protettorato di Boemia e Moravia.

L’11 gennaio 1943 Hermann Höfle presentò un rapporto riassuntivo, indirizzato al vice-comandante della polizia di sicurezza del Governatorato (il colonnello SS Franz Heim), dei risultati raggiunti dall’operazione Reinhard: l’ufficiale SS elencò il numero dei cosiddetti “arrivi registrati al 31 gennaio 1942”; in realtà si trattava di un consuntivo degli ebrei uccisi con statistiche separate per i vari campi. Secondo questo documento in quattro campi di sterminio (Bełżec, Treblinka, Sobibór e Majdanek) erano stati uccisi non meno di 1,2 milioni di ebrei attraverso l’utilizzo di camere a gas fisse e mobili che sfruttavano il monossido di carbonio. La maggior parte degli ebrei polacchi era stato ucciso a Bełżec (434.508) e a Treblinka (713.555) che era entrato in funzione il 23 luglio 1942 e dove vennero sterminati, prima sotto la direzione di Irmfried Eberl e poi quella di Franz Stangl, la maggior parte degli ebrei di Varsavia.

Nella prima metà del 1943 l’operazione Reinhard continuò con la deportazione a Treblinka degli ultimi ebrei del Governatorato presenti nei ghetti di Varsavia e Białystok; a novembre 1943, nel corso della cosiddetta Operazione Erntefest (Aktion Erntefest, ovvero l’operazione “Festa della mietitura”), vennero inoltre fucilati in massa, sotto la direzione del capo delle SS e polizia del distretto Jakob Sporrenberg, oltre 40.000 ebrei dei campi di lavoro dell’area di Lublino. Ad agosto e a ottobre 1943 avevano avuto luogo una serie di rivolte e di tentativi di fuga dai campi di sterminio da parte dei pochi superstiti ormai coscienti del loro destino e a questo punto Himmler, essendo rimaste solo poche concentrazioni ebraiche in Polonia a Łódź e nel campo di lavoro di Auschwitz, decise di chiudere l’operazione Reinhard. I campi di sterminio furono rasi al suolo e si cercò di occultare tutte le prove degli eccidi con l’intervento di piccoli reparti scelti di SS nel quadro della Sonderaktion 1005.

LA MACCHINA DELLO STERMINIO

Contemporaneamente all’avvio dell’operazione Reinhard aveva avuto inizio l’ampliamento del campo di concentramento di Auschwitz, situato in una zona di facile accessibilità ferroviaria. La località di Auschwitz era stata proposta a Himmler dal generale SS Richard Glücks il 21 febbraio 1940; si trattava di una cittadina isolata tra le paludi sede in passato di un’unità di cavalleria austriaca. Il 14 giugno 1940 il campo aveva ricevuto i primi prigionieri politici polacchi e nello stesso momento vi era stato stabilito un impianto di carburanti e gomma sintetica della I.G. Farben. Nella primavera 1940 arrivarono ad Auschwitz gli ufficiali SS Josef Kramer e Rudolf Höss che avrebbero assunto un ruolo centrale nel processo di ampliamento e di trasformazione di Auschwitz nel principale campo di lavoro e sterminio della soluzione finale.

Sotto la direzione tecnica di Hans Kammler, capo costruzioni dell’organizzazione del generale SS Pohl, si procedette a un costante ampliamento degli impianti; il numero di internati passò da 30.000 a 80.000, vennero allestiti campi satelliti, tra cui un campo femminile, un campo per famiglie di zingari e un campo per famiglie per ebrei provenienti da Theresienstadt, nella vicina Monowitz venne potenziato lo stabilimento della I.G.Farben servito dai deportati abili al lavoro. Dopo che le prime gassazioni avevano avuto luogo nell’obitorio ristrutturato di Auschwitz I, due camere a gas provvisorie furono installate nel nuovo campo di Auschwitz-Birkenau (Bunker I e II). Vennero quindi allestiti i forni crematori I-V a Birkenau e soprattutto, dopo la chiusura della camera a gas di Auschwitz I, vennero messe in funzione nel corso del 1943 le camere a gas I-IV a Birkenau dove vennero uccisi centinaia di migliaia di ebrei europei nel giro di poche settimane.

Ad Auschwitz per lo sterminio sistematico vennero studiate nuove «soluzioni» che consentissero di eliminare il maggior numero di soggetti nel modo più rapido ed efficiente. Dopo una serie di prove condotte su prigionieri di guerra sovietici e detenuti politici polacchi nell’agosto 1941, il 3 settembre 1941 venne impiegato per le gassazioni per la prima volta su larga scala, su 650 prigionieri sovietici e 250 internati infermi, lo Zyklon B (acido cianidrico). La sostanza veniva immessa attraverso aperture nel soffitto delle camere, nascoste tra le finte docce: le vittime morivano per asfissia nell’arco di 10-15 minuti.

L’11 giugno 1942 nel corso di una riunione convocata da Adolf Eichmann nella sede di Berlino del RSHA vennero stabiliti i piani dettagliati per le deportazioni nei campi di sterminio all’est degli ebrei da Francia, Paesi Bassi e Belgio. Alla presenza dei responsabili delle sezioni ebraiche dell’SD di Parigi, Bruxelles e L’Aia, Eichmann illustrò le richieste di Himmler: il Reichsführer richiedeva la deportazione di uomini e donne di età compresa tra sedici e quarant’anni da impiegare come lavoratori schiavi nei lager al posto della popolazione ebraica polacca non più idonea al lavoro da inviare subito allo sterminio. I bambini e gli anziani invece sarebbero dovuti essere condotti direttamente alle camere a gas. I piani prevedevano la deportazione di 15.000 ebrei dai Paesi Bassi, 10.000 dal Belgio e 100.000 dalla Francia. Difficoltà organizzative permisero la deportazione di soli 40.000 ebrei francesi nel periodo estivo del 1942 e di conseguenza venne incrementato il quantitativo dai Paesi Bassi che salì da 15.000 a 40.000 ebrei.

Nei paesi occupati dell’Europa occidentale (Francia, Belgio, Olanda, e quindi dopo l’8 settembre 1943 anche l’Italia) la decisione fu di non creare ghetti o campi di sterminio e di evitare il più possibile atti aperti di violenza antiebraica. L’antisemitismo era minore, e si aveva timore di esacerbare un’opinione pubblica già in larga parte ostile. Si istituirono così appositi campi di internamento o di transito lontani dai centri abitati dove la popolazione ebraica potesse essere raccolta prima di essere trasferita nei campi di concentramento o sterminio della Polonia. A fungere come principali campi di partenza per i deportati furono il campo di internamento di Drancy in Francia, il campo di concentramento di Westerbork e quello di Herzogenbusch nei Paesi Bassi, il campo di transito di Malines in Belgio e quindi il campo di Fossoli in Italia.

Elemento fondamentale del programma di deportazione verso i campi della morte era il meccanismo del trasporto ferroviario affidato alla Reichsbahn, la grande ed efficiente struttura delle ferrovie tedesche diretta da Albert Ganzenmüller; gli ebrei, anche se venivano caricati su carri-bestiame, erano considerati, anche ai fini del pagamento delle fatture da parte del RSHA alla Reichsbahn, viaggiatori trasportati su “treni viaggiatori speciali” (Sonderzüge), e la richiesta dei mezzi per la deportazione partiva dall’ufficio di Eichmann IVB4 a cura del capo della sezione Trasporti, Novak. La richiesta veniva inviata alle sezioni 21 (treni viaggiatori) e 211 (treni speciali) della Divisione operativa della Reichsbahn. Otto Stange, responsabile della sezione 211, controllava il trasporto e inviava le direttive al Generalbetriebsleitung Ost (la direzione generale ferroviaria dell’est, diretta da Ernst Emrich) che aveva a disposizione un Sonderzuggruppe che, diretto dai funzionari Fahnrich, Klemme e Jacobi, organizzava l’assegnazione dei vagoni, gli orari, gli ordini di percorso e le date di partenza e arrivo. Questo piano di base veniva poi comunicato alle Reichsbahndirektion territoriali in cui il cosiddetto “ufficio 33” si occupava delle decisioni di dettaglio dei treni viaggiatori.

I Sonderzüge viaggiavano secondo l’orario dei treni formati su richiesta (Bedarfsfahrplan) ma in casi particolari o di sovraccarico delle linee adottavano un Sonderfahrplan (“orario speciale”). Nell’Europa nazista la Reichsbahn controllava direttamente, con direzioni distaccate, le linee ferroviarie nel Governatorato, nei territori occupati dell’est, in Francia, Belgio, Paesi Bassi e Danimarca, mentre esistevano plenipotenziari della Reichsbahn nelle reti ferroviarie autonome dei paesi satelliti (Ungheria, Romania, Bulgaria, Slovacchia) e del Protettorato. Invece in Norvegia, Croazia, Serbia, Grecia e in Italia, dopo il settembre 1943, i trasporti ferroviari dipendevano dalle direzioni dei trasporti militari della Wehrmacht[138]. Importantissima era la funzione della Generaldirektion der Ostbahn (Gedob), diretta da Adolf Gerteis, che controllava, gerarchicamente dipendente dalla Generalbetriebsleitung Ost, la rete ferroviaria del Governatorato; era la Gedob (ufficio 33/treni speciali, diretto da Walter Stier) che organizzava i trasporti verso i campi di sterminio dell’Aktion Reinahrdt; la Reichsbahndirektion Oppeln dell’Alta Slesia era invece responsabile di tutti i treni per Auschwitz[139].

Le deportazioni sistematiche ad Auschwitz degli ebrei europei ebbero inizio nel luglio 1942; sulla banchina ferroviaria di Birkenau, in un’atmosfera di smarrimento, violenza e disperazione, le squadre SS procedevano alla selezione degli internati, circa il 25% delle persone di ogni convoglio (quelli ritenuti fisicamente “adatti al lavoro”) veniva temporaneamente trasferito, in media per un periodo di circa tre mesi, nei campi di lavoro del lager per essere sfruttati come manodopera schiava in condizioni di vita estreme. Gli altri venivano immediatamente uccisi nelle camere a gas. I sopravvissuti venivano periodicamente selezionati e poi inviati nelle camere di sterminio mentre alcuni venivano utilizzati dai medici e biologi presenti ad Auschwitz (tra cui i dottori Josef Mengele, Schumann, Weber, Munch, Wirths, Clausberg e Delmotte) per un’ampia varietà di esperimenti medici. Sonderkommandos (squadre speciali) dirette dalle SS e costituite da ebrei ai quali veniva imposto il compito, si occupava del funzionamento delle camere a gas e dei crematori: estrazione dei cadaveri, taglio dei capelli, recupero dei beni delle vittime, cremazione dei corpi.

Entro il 1942 vennero deportati e quindi sterminati ad Auschwitz oltre 175.000 ebrei, provenienti principalmente dalla Slovacchia (56.691), dalla Francia (41.911) e dai Paesi Bassi (38.571); fin dal 17 luglio Himmler aveva detto al comandante del lager Rudolf Höss che il campo sarebbe stato la destinazione di tutti gli ebrei d’Europa e lo aveva esortato a potenziare gli impianti e intensificare “inflessibilmente” l’attività. Himmler e Hitler vennero costantemente informati sui progressi del sistema di annientamento degli ebrei d’Europa: il 29 dicembre 1942 Himmler presentò un rapporto al Führer con il consuntivo delle uccisioni di ebrei in Ucraina e Russia meridionale; mentre il 23 marzo 1943 il responsabile statistico delle SS Richard Korherr consegnò a Himmler un documento dettagliato con il calcolo aggiornato delle persone sterminate al 31 dicembre 1942 (1.873.539) che venne evidentemente mostrato a Hitler visto che Himmler lo restituì all’ufficio di Eichmann con la postilla: “Il Führer ha preso nota. Distruggete. H.H.

Il 4 e il 6 ottobre 1943, nel corso di due discorsi tenuti a Posen ai generali SS e ai Gauleiter, Heinrich Himmler parlò in modo esplicito dello “sterminio del popolo ebraico”, usando toni pacati e confidenziali, offrendo incoraggiamenti e giustificazioni per il “compito che è diventato il più difficile della mia vita”. Il Reichsführer motivò la decisione di uccidere anche donne e bambini parlando di “soluzione chiara” e di “non avere il diritto di uccidere gli uomini e lasciare che i loro figli crescano per poi vendicarsi”; espresse apertamente che si era dovuta prendere la “difficile decisione” di far scomparire dalla terra il popolo ebraico. Con i generali il 4 ottobre presentò lo sterminio come un impegno duro, difficile ma “glorioso” e fondamentale per la sopravvivenza del popolo tedesco, “una pagina di gloria della nostra storia che non è mai stata scritta e mai lo sarà”, infine sottolineò la “moralità” degli uomini impegnati nella missione con la frase: “aver superato tutto questo ed essere rimasti persone per bene (a parte le eccezioni dovute alla debolezza umana), questo è ciò che ci ha reso forti”. Con queste parole Himmler voleva esaltare l’importanza storica della “missione”, da condurre fino alla fine e, non essendo il popolo tedesco ancora maturo per questa, da mantenere segreta.

Dopo la quasi completa distruzione delle comunità ebraiche polacca e dei territori orientali e l’inizio delle deportazioni dall’Europa occidentale, a partire dalla metà del 1942 Adolf Eichmann, responsabile dell’Ufficio centrale dell’emigrazione ebraica, si impegnò costantemente per ottenere la consegna degli ebrei presenti nell’Europa sud-orientale. Impegnato in colloqui con i dirigenti locali e supportato dai rappresentanti del ministero degli Esteri e dallo stesso Hitler durante i suoi incontri con i capi di stato stranieri, Eichmann si concentrò soprattutto sulle numerose comunità ebraiche presenti in Romania, Ungheria e Bulgaria. Inizialmente sembrò che Eichmann fosse riuscito a convincere i dirigenti rumeni a consegnare i circa 300.000 ebrei che vivevano nel paese, ma poi l’11 ottobre 1942 il dittatore rumeno Ion Antonescu, sottoposto a pressioni dal nunzio papale, da personalità ebraiche, dal ministro svizzero, rifiutò di collaborare e ordinò il rinvio delle deportazioni. Anche in Bulgaria le autorità locali fecero opposizione e vennero consegnati solo 11.000 ebrei, provenienti dai territori recentemente annessi, che vennero uccisi a Treblinka.

La popolazione ebraica ungherese era molto numerosa (800.000 persone) e nel 1942 i diplomatici tedeschi fecero pressione a favore dell’introduzione di leggi antiebraiche e della deportazione all’est. Nonostante alcuni progetti antiebraici dei militari ungheresi, l’ammiraglio Miklós Horthy e il capo del governo Miklós Kállay si opposero a queste iniziative e anche un intervento diretto di Hitler durante un incontro con Horthy nell’aprile 1943 non ottenne risultati decisivi. Il 19 marzo 1944 la Wehrmacht occupò l’Ungheria e la dirigenza nazista poté quindi imporre un radicale cambiamento della politica ebraica ungherese; Eichmann arrivò subito a Budapest dove diede inizio al rastrellamento degli ebrei; il 14 maggio 1944 ebbero inizio deportazioni ad Auschwitz. Le notizie dei trasporti all’est si diffusero a livello internazionale e la dirigenza ungherese fu sottoposta a pressioni da parte americana, svedese e vaticana per fermare le deportazioni; l’8 luglio Horthy decise la sospensione, risparmiando quindi i 250.000 ebrei di Budapest, ma altri 438.000 ebrei ungheresi erano già stati trasferiti dall’organizzazione di Eichmann ad Auschwitz dove circa 394.000 vennero subito sterminati.

Tra maggio e giugno 1944 con l’annientamento degli ebrei ungheresi il campo di Auschwitz, diretto prima da Arthur Liebehenschel e poi da Richard Baer con la supervisione di Rudolf Höss, raggiunse l’apogeo della sua attività di sterminio, le vittime mensili quadruplicarono e la capacità dei nuovi inceneritori venne portata a 132.000 cadaveri al mese. Nel campo di sterminio di Auschwitz vennero deportati come minimo 1.100.000 ebrei, provenienti da Ungheria (438.000), Polonia (300.000), Francia (69.000), Paesi Bassi (60.000), Grecia (55.000), Boemia e Moravia (46.000), Germania e Austria (23.000), Slovacchia (27.000), Belgio (25.000), Jugoslavia (10.000), Italia (7.500), Norvegia (690), zone non precisate (34.000); circa 900.000 morirono nelle camere a gas e altri 95.000 per le condizioni di vita tra i deportati registrati come lavoratori. Altre 400.207 persone vennero inoltre deportate nel campo come internati-lavoratori registrati. Considerando altri internati passati per Auschwitz e poi tradotti in altri campi (oltre 210.000) e gli 8.000 sopravvissuti, si raggiunge una cifra complessiva di vittime del campo di sterminio di 1.417.595 su un totale di internati di 1.613.455, tra cui 220.000 adolescenti e bambini.