Draža Mihailović

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Dragoljub “Draža” Mihailović, conosciuto anche con il soprannome di “zio Draža” (Ivanjica, 27 aprile 1893 – Belgrado, 17 luglio 1946), è stato un generale jugoslavo durante la seconda guerra mondiale.
Mihailović fu il fondatore e il capo delle formazioni chiamate Esercito jugoslavo in patria, generalmente conosciuti semplicemente come Cetnici, il movimento di resistenza a base etnica serba, di stampo monarchico-conservatore e anticomunista fedele a re Pietro II che, a seguito dell’invasione della Jugoslavia da parte delle potenze dell’Asse, si trovava in esilio a Londra.
Impegnato in una lunga e accanita guerra civile contro i partigiani comunisti di Josip Broz Tito, Mihajlović preferì seguire una strategia di attesa e rinunciare a combattere direttamente le truppe dell’Asse; inoltre collaborò concretamente con l’esercito italiano d’occupazione. Sconfitto da Tito e abbandonato dagli anglo-americani, dopo la guerra venne catturato, processato e giustiziato dal nuovo regime comunista jugoslavo.
Mihailović fu inizialmente contattato da Tito, nella prima e nella seconda offensiva anti-partigiana in Serbia, ma, nonostante alcuni episodi di collaborazione, fra i due eserciti non vi fu mai una vera alleanza, rifiutata da Mihailović per le sue idee anticomuniste, perché non accettava una posizione subalterna rispetto a Tito e, soprattutto, perché i suoi progetti (liberazione della Jugoslavia e reinsediamento della monarchia e del governo in esilio a Londra a Belgrado) erano incompatibili con quelli di Tito.
A partire dal 1944 fu abbandonato dagli alleati occidentali, che videro in Tito un comandante più coerente con le necessità belliche e politiche. Il suo quartier generale era situato sulle alture serbe del Ravna Gora.
Dopo la partenza degli ufficiali di collegamento britannici e il riconoscimento ufficiale da parte degli Alleati e della monarchia in esilio del ruolo dominante di Tito nel movimento di resistenza jugoslavo, la posizione politico-militare di Mihailović e dei cetnici sembrò definitivamente compromessa; Draža tuttavia non era ancora rassegnato; egli riteneva che a lungo termine gli anglo-americani avrebbero riconosciuto l’importanza del suo movimento; i britannici del resto avevano lasciato disponibili gli impianti radio per mantenere i contatti e inoltre nel luglio 1944 giunse inaspettatamente al suo quartier generale il colonnello statunitense Robert Halbord McDowell.
Draža Mihailović in compagnia degli ufficiali americani della mission Ranger nell’estate 1944; a sinistra il colonnello Robert Halbord McDowell.
Negli ultimi mesi di guerra la situazione di Draža e dei reparti cetnici rimasti fedeli divenne disperata; in settembre 1944 avevano dovuto abbandonare la Serbia dove stava avanzando da est l’Armata Rossa in sostegno dei partigiani jugoslavi; egli in questa fase entrò in collegamento diretto con il colonnello tedesco Starker e ricevette l’appoggio logistico dei tedeschi, pur rifiutando espressamente di dichiararsi loro alleato. Mihailović e i suoi uomini marciarono faticosamente attraverso la Bosnia combattendo continuamente contro gli ustaša croati e trovarono riparo nei mesi di gennaio e febbraio 1945 nella regione di Trebavo, vicino Tuzla; le condizioni di salute del capo cetnico erano precarie a causa delle fatiche fisiche e dalla tensione nervosa. Le formazioni cetniche erano lacerate da discordie tra i capi e indebolite da un’epidemia di tifo petecchiale; il capo montenegrino Pavle Đurišić intendeva proseguire verso nord-ovest per cercare di raggiungere l’Istria ed entrare in collegamento con gli anglo-americani, mentre Mihailović era deciso a ritornare in Serbia. Sembra che una serie di messaggi ingannevoli dell’OZNA comunista che affermavano che la situazione in Serbia era favorevole ai cetnici, abbiano contribuito alla decisione finale di Draža.
Dopo alcune incertezze, alla fine Mihailović decise di dividere le sue forze; una parte dei cetnici si diresse verso l’Istria e la Slovenia al comando di Đurišić, mentre Draža si unì agli altri reparti e iniziò la drammatica marcia verso sud per ritornare in Serbia. Mentre gli uomini di Đurišić sarebbero stati in gran parte uccisi dagli ustaša croati e lo stesso comandante cetnico sarebbe stato catturato ed eliminato insieme all’altro capo cetnico Dragiša Vasić, Mihailović riuscì a mettere in movimento i suoi soldati divisi in tre colonne che avanzarono in direzione di Banja Luka e Kalinovik con l’obiettivo di raggiungere la Drina a Foča. Dopo qualche successo, i suoi cetnici furono accerchiati dalle formazioni partigiane nell’impervia regione del Zelen Gora e, bersagliati dagli attacchi aerei, vennero annientati; i partigiani eliminarono brutalmente i loro nemici; caddero 7.000 cetnici, tra cui i capi Keserović e Racić, mentre Mihailović riuscì a fuggire con solo 400 superstiti.
Dopo la fine della guerra, nella primavera 1946, Mihailović fu catturato dall’OZNA nei pressi del confine austriaco mentre cercava di sfuggire alle ricerche; egli era in pessime condizioni, estremamente deperito per la mancanza di alimenti e quasi cieco. I medici jugoslavi riuscirono tuttavia a ristabilire la sua salute rendendolo in grado di sostenere il processo che era in preparazione contro di lui a Belgrado.
Sottoposto a processo per alto tradimento e collaborazione con il nemico dalla nuova autorità comunista jugoslava, fu condannato a morte e fucilato il 17 luglio 1946. Gli Alleati seppero in anticipo che si voleva la sua morte ma decisero di non intervenire e di lasciarlo al suo destino per non guastare i futuri rapporti con il Maresciallo Tito, il leader su cui avevano puntato nella loro politica nei Balcani dopo la fine della guerra.
Il 14 maggio 2015 Mihailović è stato riabilitato dopo la sentenza della Suprema Corte di Serbia (la corte d’appello più alto in Serbia). Questa sentenza ribalta la sentenza emessa nel 1946, la quale condannò Mihailović a morte per collaborazione con le forze naziste di occupazione e spogliandolo di tutti i suoi diritti di cittadino. Infatti il regime comunista titino organizzò un processo politicamente e ideologicamente motivato, secondo la sentenza.